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27 Febbraio 2023

Assenza di equo compenso e parametri, ricorso eccessivo alla trattiva privata: i rilievi di Camera e Senato al nuovo Codice Appalti

Aggiornare i parametri per la determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara e renderli obbligatori negli appalti di servizi di architettura e ingegneria. Scrivere nero su bianco che nessuna prestazione professionale può essere resa gratuitamente. Prevedere una fase transitoria che regoli, per i progetti in corso, il passaggio da tre a due livelli di progettazione. Rafforzare le norme sul conflitto di interesse che escono depotenziate rispetto al Codice attualmente in vigore. Sono alcune delle numerose osservazioni che le Commissioni Ambiente di Camera e Senato hanno elaborato nei pareri, resi al Governo, sullo schema di Codice degli appalti. Critiche dalla Commissione di Palazzo Madama anche alle limitazioni al ricorso alle procedure ordinarie (aperte o ristrette) e all’abolizione del tetto massimo del 20% per il punteggio economico nelle gare da aggiudicare secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Più di 90 le criticità riscontrate da ciascuna Commissione.

Progettazione ed equo compenso, obbligo di utilizzo dei parametri

Tra le richieste messe nero su bianco dalle due Commissioni vi è la reintroduzione del riferimento al decreto Parametri. Più nel dettaglio, nei pareri si chiede di ripristinare l’obbligo di utilizzo dei parametri per individuare l’importo da porre a base di gara nei servizi di architettura e ingegneria. Lo schema di Codice Appalti, infatti, non contiene alcun riferimento al cosiddetto Dm Parametri, ossia non vi è alcuna previsione comparabile a quella attualmente inserita all’art. 24, comma 8 del Codice, che sancisce l’obbligo per le stazioni appaltanti di utilizzare i corrispettivi previsti dal decreto del ministero della Giustizia del 17 giugno 2016, quale base di riferimento per l’individuazione dell’importo da porre a base di gara dell’affidamento di progetti e altri servizi di architettura e ingegneria. Il Parlamento chiede anche al Governo di aggiornare i parametri, anche in considerazione della riduzione dei livelli di progettazione che contempleranno il progetto di fattibilità tecnica ed economica e l’esecutivo, nonché la cancellazione di quello intermedio, rappresentato dal definitivo. Nei pareri si evidenzia anche la necessità che il Codice espliciti il principio secondo cui nessuna prestazione professionale può essere resa gratuitamente.

Doppio anonimato nei concorsi

Sul fronte concorsi, le due Commissioni di Camera e Senato propongono rettifiche esclusivamente per le commissioni giudicatrici, chiedendo di «specificare la tempistica entro cui la commissione del concorso deve essere indicata, al fine di scongiurare il rischio che il doppio anonimato (dei concorrenti e dei giurati) possa evidenziare eventuali incompatibilità soltanto dopo il giudizio della commissione, invalidando così l’intera procedura».

Relazioni specialistiche da allegare ai progetti

I pareri evidenziano anche la mancanza di una previsione che specifichi la necessità di espletare, in fase di progettazione, le verifiche di compatibilità geologica, geomorfologica, idrogeologica e sismica dell’opera, in continuità con quanto attualmente dispone l’art. 23 del Codice dei Contratti.

Periodo transitorio per il passaggio da due a tre livelli di progettazione

Altra richiesta, condivisa da entrambe le Commissioni, è l’inserimento di una fase transitoria che, per i progetti in corso, regoli il passaggio da tre a due livelli di progettazione.

Criticità per l’innalzamento delle soglie che obbligano al ricorso all’affidamento diretto e alle procedure negoziate

Sotto la lente critica di Palazzo Madama finisce l’articolo 50 sulle procedure di affidamento sotto soglia comunitaria. Il parere del Senato evidenzia diverse criticità riguardo all’innalzamento delle soglie per l’affidamento diretto e le procedure negoziate senza previa pubblicazione del bando. Primo punto dolente è l’aver previsto, per i lavori sotto soglia, la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie (aperte o ristrette) solo per importi superiori a un milione di euro e previa adeguata motivazione della stazione appaltante. La seconda criticità risiede nell’aver previsto due sole modalità di affidamento per il sotto soglia: l’affidamento diretto e la procedura negoziata senza bando. «Oltre alle possibili ricadute negative in tema di trasparenza – viene evidenziato nel parere -, la maggiore criticità connessa a questa impostazione è rappresentata dal fatto che negli affidamenti diretti la valutazione sarà effettuata, di fatto, secondo un criterio del minor prezzo e che, nelle restanti e residuali, ipotesi di ricorso a procedure negoziate senza bando, la norma consente alle stazioni appaltanti di ricorrere alternativamente o al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa o a quello del prezzo più basso, senza alcun obbligo di motivazione circa la scelta. Questo determinerà un forte utilizzo del criterio del prezzo più basso che non consente di valorizzare aspetti quali la qualità del prodotto, dell’innovazione e della sostenibilità ambientale dello stesso».

Offerta economicamente più vantaggiosa, reintrodurre il tetto massimo del 20% per il punteggio economico

Tra i punti da modificare, secondo Palazzo Madama, ci sono, inoltre, le regole che riguardano il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Secondo la Commissione Ambiente va reintrodotto il tetto massimo del 20% per il punteggio economico ed è necessario «valorizzare gli elementi qualitativi dell’offerta e individuare criteri tali da garantire un confronto concorrenziale effettivo sui profili tecnici, evitando ogni formula matematica che finisca per premiare i ribassi più alti». «L’individuazione di un tetto massimo al punteggio economico – viene sottolineato nel documento – evita il rischio che le stazioni appaltanti trasformino il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa in quello del massimo ribasso mascherato, attribuendo rilevanza determinante alla componente prezzo».

Da rafforzare le norme sul conflitto di interesse

Sia la Camera che il Senato recepiscono le osservazioni dell’Anac sul conflitto di interesse, il cui ambito applicativo – secondo l’Anticorruzione – esce depotenziato dalla bozza di Codice. I due rami del Parlamento invitano il Governo a specificare, così come è previsto dalle direttive eurounitarie, che è compito delle stazioni appaltanti attivarsi per adottare le misure adeguate a individuare, prevenire e risolvere ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione di appalti e concessioni. In più, il Senato chiede che venga risolta la questione dell’onere della prova a carico di chi invoca il conflitto di interesse. Secondo l’attuale schema di Dlgs, infatti, «la percepita minaccia all’imparzialità e indipendenza deve essere provata da chi invoca il conflitto sulla base di presupposti specifici e documentati e deve riferirsi a interessi effettivi, la cui soddisfazione sia conseguibile solo subordinando un interesse all’altro». Ciò, come aveva rilevato l’Anac, è in contrasto con quanto affermato dalla Corte di giustizia (sentenza 12 marzo 2015 causa C538/13), secondo cui non si può chiedere al ricorrente in giudizio di provare concretamente che un ausiliario dell’amministrazione sia in una condizione di conflitto di interesse, ma la verifica sull’esistenza di elementi che mettano in dubbio l’imparzialità spetta all’amministrazione stessa.

In house, rispristino dell’elenco presso l’Anac

Diversamente da quanto previsto dal Codice Appalti in vigore, la bozza di Dlgs non prevede l’elenco, gestito dall’Anac, delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house. Come evidenziato dalla stessa Authority, «in oltre cinque anni di gestione dell’elenco», si è constatato che «in circa i due terzi dei casi trattati, i requisiti dell’in house erano carenti e i soggetti esaminati erano spesso sostanzialmente equiparabili ad imprese liberamente operanti nel mercato, che godevano di affidamenti diretti di contratti pubblici, ottenuti senza gara, in assenza dei necessari presupposti». Concordi i due rami del Parlamento sulla necessità di inserire l’obbligo per le stazioni appaltanti di trasmettere alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici le informazioni relative alle procedure di affidamento in house. In più, il Senato chiede che venga ripristinato presso l’Anac l’elenco degli organismi in house.

Accordi quadro sulla base dell’esecutivo

Sul fronte degli accordi quadro, una proposta di correzione arriva dalla Camera, che chiede che sia reso sempre obbligatorio «porre a base di gara il progetto esecutivo». Ciò «al fine di evitare che gli operatori economici siano chiamati a proporre soluzioni basate su criteri generici in assenza di una base progettuale».

Qualificazione delle stazioni appaltanti

Sull’innalzamento, da 150mila e 500mila euro, dell’importo dei lavori oltre il quale scatta l’obbligo di qualificazione per le stazioni appaltanti si era mostrata molto critica l’Anac. Secondo l’Autorithy, infatti, questo innalzamento «comporterebbe una riduzione del numero di gare eseguite da enti qualificati di circa il 65% corrispondente ad una diminuzione di circa il 45% del numero di amministrazioni aggiudicatrici qualificate». Meno dure le osservazioni di Camera e Senato, che però riconoscono come una necessità la valorizzazione del ruolo delle stazioni appaltanti qualificate, chiedendo di riservare a queste ultime, a prescindere dal valore, le procedure di Ppp, appalto integrato e dialogo competitivo, nonché le procedure relative a settori esposti al rischio di infiltrazioni mafiose per cui è necessaria l’iscrizione alle cosiddette white list.

Entrata in vigore

Sia il Senato che la Camera chiedono che venga prevista una data di entrata in vigore che dia alle stazioni appaltanti e agli operatori economici un tempo ragionevole per conoscere le nuove disposizioni e adeguarvisi. Per la Commissione del Senato, l’entrata in vigore del nuovo Codice potrebbe essere fissata al 1° gennaio 2024.

Il parere reso dalla Commissione Ambiente del Senato
Il parere reso dalla Commissione Ambiente della Camera

di Mariagrazia Barletta

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