Lo sforzo degli architetti per migliorare il mondo passa ancora dall’idea di città, anche nel contesto globale pressato dalle urgenze del cambiamento climatico e della crescita demografica esponenziale, come ha dimostrato la panoramica svolta nell’ambito del convegno “Architettura in Austria. Da Otto Wagner alle nuove generazioni” (Casa dell’Architettura, 9 giugno 2025), organizzato dall’Ordine degli Architetti di Roma (OAR) con il coordinamento scientifico di Arianna Callocchia: approfondendo il lavoro internazionale degli studi viennesi Delugan Meissl Associated Architects (DMAA) e querkraft architekten, l’incontro, aperto dai saluti di Teresa Indjein, Direttrice Forum Austriaco di Cultura Roma, ha messo in luce alcune importanti direttrici di ricerca dei progettisti contemporanei, accomunati dall’obiettivo di realizzare una trasformazione che si riveli sostenibile.


Le attuali esperienze si riallacciano alla storia dell’architettura austriaca, assimilandone la concezione funzionale della città e la capacità di immaginare il nuovo. “In Austria c’è stata sempre una predisposizione a sperimentare, da Otto Wagner alla scuola dei Radicali austriaci – penso ad Hans Hollein, Coophimmelb(l)au, Haus-Rucker-Co, e altri ancora – con istanze che sono state poi assorbite all’interno della cultura austriaca”, ha evidenziato Marco Maria Sambo, Segretario OAR e Direttore AR Magazine. “Ho sempre pensato che queste istanze radicali fossero importanti a prescindere dai risultati formali, perché tentavano di costruire micro e macro habitat”. D’altra parte, l’attitudine a dialogare con la città storica, in parallelo con la sensibilità per la natura e il genius loci, sono caratteristiche degli architetti europei. Luca Ribichini, professore di Disegno, Facoltà di Architettura, Sapienza Università di Roma, ha sottolineato: “Mai come in questo momento ci siamo accorti che la cultura europea costituisce un denominatore comune, con tutte le accezioni diverse, chiaramente, dei vari Paesi che ne fanno parte. Soprattutto in un discorso su architettura e urbanistica, non c’è bisogno di entrare in dettaglio per far capire quanto le città europee siano portatrici di valori aggiunti basati sul concetto della stratificazione, della storia, del cambiamento nel tempo”.


Il fermento culturale di Vienna, a partire dalla fine dell’Ottocento e per tutto il Novecento, ha elaborato i fattori sociali insieme alle varie forme dell’espressione artistica, con un processo che è continuato in questo primo quarto del XXI secolo, delineando una peculiare concezione del costruire. Come ha puntualizzato Emma Tagliacollo, CTF OAR – Storia e critica, Commissione Archivi e Osservatorio 900, “La baukultur è in realtà l’espressione di un vero e proprio processo politico. Quando parliamo di patrimonio culturale, di patrimonio architettonico, ci riferiamo anche alla qualità stessa dell’architettura (…). Il modo in cui costruiamo porta con sé valori di tipo sociale, ecologici, oltre che economici, ed è proprio qui che è necessario poter aprire a una visione integrata del processo della costruzione (…), [che] non abbraccia soltanto gli edifici singoli, ma anche tutto il contesto, a livello di città e direi proprio anche a livello di nazione: parla di paesaggio, di sostenibilità, di partecipazione dei cittadini”.
Una nuova visione urbana, dalla capitale cosmopolita alle città colossali
Le opere di Otto Wagner e le sue formulazioni teoriche possono essere considerate un punto di partenza del percorso che conduce all’architettura contemporanea in Austria: nell’approccio alla creazione degli spazi della città da parte di due studi come DMAA e querkraft architekten si riconosce il pragmatismo di una progettazione razionale che tiene conto delle risorse economiche disponibili e lega la morfologia – e la connotazione estetica – degli edifici a criteri di funzionalità, privilegiando i sistemi di prefabbricazione. Su scale diverse, potremmo attribuire a entrambi i momenti dell’architettura austriaca il confronto con una realtà globalizzata. Ha ricordato Christian Kühn, professore, TU WIEN: “(…) l’Impero Austro-ungarico nel 1914 (…) [aveva una popolazione] di 52 milioni di abitanti, più della Francia, più della Spagna, più della Gran Bretagna – escludendo naturalmente il Commonwealth. L’aspetto interessante per l’architettura non è la situazione dei confini dell’epoca, ma la combinazione di una moltitudine di etnie, lingue, culture diverse in una singolare composizione di Stati (…). A tutti gli abitanti di questi diversi Stati era consentito di esprimersi nella propria lingua senza traduzione, e si può immaginare (…) [quanto] la questione della lingua fosse cruciale. Nell’Impero Austro-ungarico l’architettura era uno dei linguaggi che chiunque poteva comprendere (…)”.


Otto Wagner, interessato tra l’altro “alla natura artificiale disseminata in tutta la città”, aveva fissato in Modern Architecktur (1895) i Criteri for una buona architettura: corretta ubicazione, comprensione meticolosa e perfetta realizzazione degli obiettivi preposti (fino nei più piccoli dettagli), scelta fortunata di materiali (cioè facilmente reperibili, facili da lavorare, sempre economici), costruzione semplice ed economica, e “solo dopo aver considerato questi tre punti…” una forma che scaturisca da tali presupposti. Significativa l’attenzione alla varietà dei materiali, come nella Österreichische Postsparkasse, con l’uso del calcestruzzo armato per la struttura e di rivestimenti in marmo e granito.
A Vienna possono essere individuati ulteriori esempi di architetture realizzate nel Novecento, durante il primo e il secondo dopoguerra, che continuano il discorso sulla costruzione della città e progressivamente introducono elementi di avanguardia: il Karl Marx Hof (1927 – 30) di Karl Ehn e altri, la Wiener Stadthalle (1954 – 58) di Roland Rainer, la Città dei bambini (1970 – 74) di Anton Schweighofer, la Zentralsparkasse (1975 – 79) di Günther Domenig, la Haas Haus (1985 – 90) di Hans Hollein.
Roman Delugan, architetto, partner fondatore di DMAA, presentando gli edifici costruiti dal suo studio in tutto il mondo e i progetti in corso d’opera, ha illustrato una serie di soluzioni che, adattandosi ai luoghi, interpretano il tema della città su scale sempre diverse, nel segno del bilanciamento tra architettura e natura, a partire dall’esigenza di ridurre le emissioni di CO2 e limitare le nuove costruzioni in ambiti urbani già saturi: “(…) una situazione tipica di tutte le città del mondo [è ] la diffusione disordinata delle case, la cosiddetta urbanizzazione diffusa. Secondo noi in futuro non sarà più possibile continuare così (…). Ha ancora senso costruire una casa unifamiliare? Visto che la popolazione mondiale continuerà a crescere, non possiamo più consumare nuova superficie (…). In futuro dobbiamo costruire in verticale, per lasciare spazio alla natura, solo così potremo costruire superfici verdi nelle nostre città. Dobbiamo crescere in altezza nei siti in cui esistono già edifici: il suolo è prezioso e va protetto.”



Dalla serra idroponica a Fürstenwald all’Opera di Abu Dhabi, fino al progetto per una città ex-novo sull’isola di Tiran nel Mar Rosso per il quale si sono “ispirati a città come Amalfi, Santorini, Matera, e a tante belle città medievali, luoghi con una forte architettura (…)”, gli architetti di Delugan Meissl Associated utilizzano la tecnologia per rendere possibili soluzioni che anticipano il futuro. È il caso di The line, progetto per una città di 9 milioni di individui, con un sistema di mobilità innovativo, alimentata da energia geotermica, in grado di produrre al suo interno il cibo per gli abitanti: “Dopo tre anni e mezzo di lavoro, hanno scelto noi per realizzare questo progetto” – ha raccontato Delugan. Due mesi fa abbiamo concluso il masterplan dei primi tre settori di questa megacittà. Il primo settore è in costruzione, è lungo 2,4 chilometri, alto 200 metri e largo 200 metri”.
Recupero degli edifici esistenti – Iniziativa HouseEurope!
Dopo gli eventi negativi (crisi bancaria, pandemia, disastro ambientale, guerre) che negli ultimi venti anni hanno determinato la consapevolezza di dover cambiare i paradigmi di sviluppo, con la popolazione mondiale che si appresta a crescere di 2 miliardi di unità entro il 2050, la progettazione deve propendere per scelte di restauro e adattamento degli edifici esistenti a nuove destinazioni d’uso, nell’intento di non occupare spazi verdi che potranno essere piantati e coltivati. Citata da Christian Kühn come strumento in grado di facilitare la diffusione della cultura del recupero, House Europe! è una iniziativa dei cittadini (European Citizens’Initiative) per nuove leggi europee che semplifichino e rendano più convenienti le procedure di restauro e trasformazione del patrimonio costruito esistente.



Gerd Erhartt, architetto, partner fondatore dello studio querkraft architekten, che ha firmato, tra l’altro, il ML Museum Liaunig, il Padiglione Austriaco a Expo Dubai 2020 e lo store IKEA al centro di Vienna, e ha in costruzione due musei in Germania, alcuni edifici alti residenziali e complessi di uffici in Austria, riassume nei termini di una sfida generazionale l’impegno di chi si confronta oggi con temi che fino a qualche decennio fa erano percepiti come marginali: “Abbiamo studiato tutti negli anni ’80 e siamo stati anche influenzati dal postmodernismo (…), ma eravamo più legati agli anni ’70, e uno degli edifici che amo è il Centre Pompidou di Renzo Piano e Richard Rogers. Ed erano sempre gli anni ’70 quando c’era il cosiddetto ‘Austrian Phenomenon’ (…). Dobbiamo attivarci adesso – e uno degli strumenti a disposizione è House Europe! – non per costruire nuovi edifici, ma per recuperare e riutilizzare quelli esistenti (…). In tutta onestà, se, ripenso ai nostri inizi, non eravamo guidati dai principi della sostenibilità: gli anni ’80 e ’90 sono stati un momento di grande disimpegno e noi ne siamo stati parte. D’altro canto, credo che avessimo nel nostro DNA la tendenza ad attuare strategie sostenibili”.
Immagine in evidenza: copyright © Daniele Raffaelli, fotografo
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