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24 Giugno 2025

Nell’ambito di FAR premiati i vincitori del Premio dedicato a Fabrizio Vescovo

Attenzione nella seconda giornata di FAR, il Festival dell’Architettura di Roma, al tema dell’emarginazione che l’architettura può nutrire tramite l’inserimento di barriere fisiche nello spazio o mediante una mancanza di comfort per chi vive gli spazi della città. E poi riflettori puntati sul tema dell’accessibilità e della progettazione inclusiva con la premiazione dei vincitori (progetti realizzati, ricerche e tesi di laurea) del Premio dedicato a Fabrizio Vescovo.

«Il premio – fortemente voluto dall’osservatorio Accessibilità e universal design dell’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia e dedicato alla figura dell’architetto Fabrizio Vescovo, promotore di leggi e linee guida sull’accessibilità – ha inteso perseguire gli stessi intenti dell’architetto, ossia creare una cultura dell’accessibilità. Siamo davvero contenti perché sono arrivati progetti molto interessanti», ha esordito Alice Buzzone, consigliera dell’OAR, direttrice di FAR e coordinatrice dell’osservatorio Accessibilità.

Il premio ha avuto lo scopo di commemorare in modo propositivo l’architetto (scomparso nel 2020), punto di riferimento nazionale e regionale delle battaglie per il superamento delle barriere architettoniche e per la piena inclusione delle persone con disabilità nella società. Docente, direttore del corso post lauream “progettare per tutti senza barriere”, autore di fondamentali pubblicazioni sul tema, nonché illustre membro dell’osservatorio Accessibilità dell’OAR fondato nel 2015.

I vincitori sono stati scelti dalla commissione formata dai componenti dell’osservatorio Accessibilità: Alice Buzzone, Laura Calcagnini, Lucia Martincigh, Daniela Orlandi, Ombretta Renzi, Enrico Ricci, Antonietta Villanti.

I vincitori

Sezione progetti realizzati

Nella sezione progetti realizzati il primo premio va a “Galattica. Un nuovo spazio urbano di rigenerazione e nutrimento” dell’Associazione Giovanile Paesarte – APS. Si tratta della sistemazione di un’area senza funzione nè identità in un quartiere periferico e popolare di Monterotondo, resa accessibile e diventata un punto di riferimento per la comunità. Il progetto ha puntato alla valorizzazione dello spazio pubblico, quale fondamentale asset in grado di promuovere l’accoglienza, la solidarietà e la cultura dell’accessibilità all’interno della città e il riconoscimento dei bisogni di mamma e bambino, con un focus sull’allattamento, nella fruizione degli spazi urbani.

«L’obiettivo del progetto è stato quello di declinare l’accessibilità e la fruizione dello spazio pubblico a partire da un target specifico: la diade mamma-bambino nei loro primi anni di vita», spiegano i progettisti dell’associazione composta da paesaggisti, architetti, educatori ambientali, agronomi, counselor perinatali. Ne è derivato uno spazio pubblico accogliente e accessibile a tutta la comunità ma che, intercettando i bisogni delle neo famiglie, offre un luogo capace di accoglie madri/caregiver e neonati e farli sostare durante una passeggiata nel quartiere grazie all’accessibilità di un luogo universalmente fruibile.

«Di questo progetto è stata apprezzata tra l’altro l’originalità del concept inclusivo, destinato ad un’utenza veramente ampia. Sebbene destinato a mamme e bambini, il progetto si presta alla fruizione da parte di tutti. Molto apprezzato anche il processo partecipativo che ha coinvolto il quartiere e i giovani del territorio», ha sottolineato Daniela Orlandi, membro dell’Osservatorio accessibilità nonché della giuria del Premio.

Sezione ricerche

Per la sezione ricerche, il progetto premiato è “L’accessibilità come principio estetico nel campo delle arti performative” di Diana Ciufo e Flavia Dalila D’Amico. La ricerca nasce dalla domanda: «Possiamo immaginare l’accessibilità per persone cieche e ipovedenti come scommessa estetica e urgenza non negoziabile nella progettazione di città, spazi, eventi, spettacoli?» Nel corso del 2023 le ricercatrici hanno tentato di rispondere mediante un’indagine applicata, all’interno del Dipartimento di Pianificazione, Design e Tecnologia dell’Architettura (PDTA) di Sapienza Università di Roma, che si è dipanata in diversi workshop rivolti a persone cieche di Roma e studenti del Dipartimento, conseguendo una serie di output, tra cui un modello tattile di una scenografia, un video di una performance audio-descritta e un ebook accessibile. Più nel dettaglio, la ricerca prevede due linee di azione. «Una volta – spiegano le ricercatrici – alla sperimentazione di un piano di comunicazione multimediale che tenga conto delle eterogenee e specifiche esigenze di pubblici diversi, con attenzione particolare ai soggetti ipovedenti e ciechi. Una seconda contempla la sperimentazione insieme ad artisti di strategie accessibili come audio-descrizioni poetiche e riproduzioni tattili dei set delle scene».

Apprezzati dalla giuria – prosegue Daniela Orlandi: «L’approccio all’accessibilità come principio estetico e l’attenzione a un tema molto poco affrontato circa le disabilità funzionali con soluzioni di accessibilità per non vedenti e ipovedenti. La particolarità è che questo progetto si rivolge a spazi per performance e addirittura alle performance stesse perché si preoccupa di rendere gli spettacoli accessibili alle persone con disabilità visiva».

Tesi di laurea

Due le tesi premiate ex-aequo: “Water-Mine”, un’indagine storico-architettonica sulla rigenerazione del complesso minerario di Nebida in Sardegna di Davide Filipi e Giorgio Lana e “Across the autism” di Gabriele Fera, Flavia Castellet y Ballarà.

Water-mine si concentra sul complesso delle laverie di Nebida in Sardegna, che, come ‘miniere d’acqua’, sfruttavano il mare per purificare il minerale e sul museo di archeologia industriale minerario. Si tratta di un’indagine storico-architettonica sulla rigenerazione del complesso minerario.

«È stata premiata la volontà di ricollegare – anche in maniera simbolica – usi del passato con aspetti del presente nella struttura archeologico-industriale del sistema minerario di Nebida. Il collegamento viene ideato attraverso un elemento anch’esso del passato ma attualizzato nella conformazione impiantistica e nella forma, ossia il carrello per il trasporto dei minerali che era funzionale al lavaggio e allo stoccaggio dopo l’estrazione. Questo viene rieditato e riutuilizzato per renderlo in grado di superare grandi distanze e percorrenze, ricollegandole con il nastro trasportatore. Nel dispiegarsi, questo dispositivo racconta la storia della zona e permette a tutti di raggiungere i diversi livelli del sito», afferma Lucia Martincigh, componente dell’osservatorio Accessibilità. Il dispositivo risulta ideale nel risolvere così la difficoltà degli scarti di quota, permettendo a chiunque, soprattutto anziani e bambini, di poter godere della visita, guidata e non, in totale sicurezza e divertimento.

Per “Across the autism“, l’obiettivo è la realizzazione di un centro diurno e residenze, progettati con particolare attenzione agli aspetti spaziali, ambientali e funzionali, per rispondere al meglio alle esigenze delle persone con autismo. Ogni ambiente, infatti, influenza il nostro comportamento, ma nelle persone con autismo può amplificare o ridurre eccessivamente gli stimoli sensoriali, generando frustrazione o disorientamento. L’area scelta per il progetto è il “Borghetto Flaminio”, nel quartiere Flaminio di Roma, oggi occupata da diversi capannoni.

«Di questa tesi – prosegue Lucia Martincigh – viene premiato l’approccio al tema delle disabilità neuropsichiche, nello specifico l’autismo, nonché la volontà di trovare una risposta architettonica che possa conciliare il bisogno di connessione con le persone neurotipiche con stesso e semmai più imperativo bisogno di ridurre la sovraesposizione sensoriale ed il senso di disorientamento tipici delle persone autistiche. Questo viene risolto attraverso un approccio progettuale il cui obiettivo è l’integrazione tra la neurotipicità e la sensibilità sensoriale per la realizzazione di spazi adeguati ad accogliere persone dalle diverse esigenze».

Infine, è ancora Alice Buzzone a ricordare il pensiero di Fabrizio Vescovo leggendo un’intervista del 2016 di Iginio Rossi. «È necessario convincere – diceva l’architetto – che un progetto che non presenti barriere è un progetto normale e un progetto che contenga ostacoli e punti di pericolo è un progetto comunque sbagliato».

di Mariagrazia Barletta

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