Sono circa 8mila gli edifici in Italia riconosciuti come beni culturali. Un patrimonio straordinario da trasmettere ai posteri con interventi più o meno apparentemente invasivi che ne rispettano comunque l’essenza, ma allo stesso tempo, in grado di garantire sicurezza, utilizzo e accessibilità affinché i centri storici non rimangano vuoti contenitori museali privi di vita.
Determinante il ruolo dell’architetto che, attraverso la sua competenza trasversale, può muoversi nella dialettica tra città antica e città moderna, la cui coesistenza ha dato origine a Roma Eterna, con stratificazioni successive in epoche molto lontane tra loro.
Non avremmo Piazza Navona senza l’intervento di Bernini e Borromini nello Stadio di Domiziano, la Basilica di San Pietro ed il famoso colonnato che hanno visto succedersi molti architetti (da Bramante a Giuliano da San Gallo, da Raffaello a Michelangelo, fino a Della Porta, Fontana, Maderno e Bernini) o Piazza del Popolo su disegno del Valadier. Progetti che hanno imposto con sapienza e qualità una trasformazione urbana su un tessuto antico.
Non si può però prescindere da una profonda conoscenza del patrimonio storico, sia documentale che inerente agli edifici stessi, in modo da calibrare il progetto e renderlo efficace ai fini della prevenzione, conservazione e valorizzazione.
“Conoscere le condizioni di salute degli edifici oggi è imprescindibile per differenti motivi – commenta Christian Rocchi | Presidente Ordine Architetti PPC di Roma e provincia – Oltre che una fondamentale questione di sicurezza pubblica, prendere coscienza dello stato di esercizio degli edifici consente di assegnare delle priorità di intervento idonee a preservare e trasferire ai posteri il prezioso patrimonio storico di cui disponiamo. Ragionare sulle modalità di approccio al problema e sugli strumenti tecnici ed amministrativi necessari è oggi imprescindibile per un organico e proficuo rilancio dei centri storici”.
“Una riflessione sulle murature tradizionali è doveroso parlando di centro storico, considerando che costituisce la struttura della maggior parte del patrimonio edilizio italiano – osserva Maria Costanza Pierdominici | Vicepresidente Ordine degli Architetti PPC di Roma e provincia – La loro vulnerabilità strutturale alle azioni sismiche, la scarsa resistenza a trazione, alle spinte fuori piano ed alle deformazioni differenziali, così come i meccanismi di collasso, le irregolarità costruttive e/o geometriche, il degrado dei materiali, la mancanza di diaframmi rigidi, le spinte e le deformazioni impongono una progettazione mirata e competente che possa garantire conservazione e nuova funzione. Vincoli normativi complessi, strumenti economici limitati, carenza di personale tecnico specializzato, difficoltà di controllo e monitoraggi ed esigenze di conservazione in conflitto con destinazione d’uso sono temi su cui confrontarsi anche con la pubblica amministrazione”.
Ribadisce l’importanza della prevenzione nella gestione del territorio e del patrimonio storico anche Giorgio Cortellesi | Sindaco di Amatrice: “Siamo molto efficienti e stimati nel mondo per la fase emergenziale, dopo un terremoto per esempio, ma il virtuosismo si blocca nella fase di ricostruzione soprattutto a causa della burocrazia. Bisognerebbe pensare a un certificato di vulnerabilità dei fabbricati, oltre che alla prevista attestazione di staticità, una sorta di cartella clinica dell’edificio. Lo dimostra il fatto che a Roma, alcune case crollano pur senza un evento calamitoso. Avviamo una forte campagna di sensibilizzazione verso le istituzioni e la stessa popolazione perché mettano al centro la prevenzione attiva”.
A sottolineare invece l’importanza del confronto e della collaborazione reciproca tra pubblica amministrazione, istituzioni e professionisti è Giuliano Boccanera | Sindaco di Norcia: “Raccontare esperienze spesso molto diverse e analizzare le conseguenze sia in fase emergenziale che di ricostruzione, consente di non dimenticare ciò che è successo e di ottimizzare le procedure di prevenzione”.
La tutela dei beni storici e archeologici, dunque, impone una profonda riflessione sulla modalità di intervento che deve tener conto della necessità di conservazione dell’edificio, ma anche della funzione da esso ospitata. La valutazione della destinazione d’uso è determinante per un uso continuativo del bene, che è indirettamente fondamentale per il monitoraggio del suo stato di salute e manutenzione.
Di cruciale importanza anche una visione unitaria che includa le molteplici ragioni del restauro, dell’urbanistica e dell’architettura, in una visione complessiva che orienti le scelte politiche ed operative ed eviti il congelamento dell’esistente. La città è storia pietrificata, ma anche vita che non può essere irrigidita in norme solo impeditive o paura delle trasformazioni che invece favoriscono quei comportamenti urbani che hanno reso l’Italia unica.
I centri storici sono la somma di micro e macro interventi che nel tempo si sono affiancati e sovrapposti, spesso in maniera disordinata ma comunque armonica; ad oggi, per dovere di conservazione, ma anche per evitare eccessivo consumo di suolo, gli architetti sono chiamati a confrontarsi con uno spazio progettuale talvolta con gesti più pacati e talvolta più muscolari, ma comunque in nome della responsabilità deontologica e culturale di tramandare un patrimonio di valore, nell’ambito di un fermento urbano che deve comunque essere incentivato.
Necessaria una stretta collaborazione ed un confronto serrato tra architetti e amministratori pubblici per delineare un piano di conservazione programmata, con un approccio sistematico e a lungo termine che unisca studio, prevenzione, manutenzione e restauro, includendo la definizione delle priorità dell’esecuzione degli interventi, l’organizzazione del monitoraggio e della manutenzione futura, nell’ambito di una visione di insieme più ampia che valuti le funzioni dei contenitori storici a garanzia della vitalità tipica dei centri storici.