Attualità del ’900. Maestri, archivi di architettura, linguaggi del moderno

VISIONI DEL NOVECENTO – Tracce di futuro

Visioni sognate e materia concreta. I maestri di architettura del XX secolo insegnano questa attitudine progettuale: tenere insieme, uniti in un legame indissolubile, il sogno e la concretezza del cambiamento reale, nel contemporaneo. L’eredità che lasciano questi architetti del moderno parla già di futuro, prefigurandolo tra schizzi e disegni, edifici e frammenti urbani, scenografie, scritti. Un fare eclettico che non rinuncia mai alla complessità, facendo convergere gli strumenti a disposizione verso un unico grande obiettivo: l’architettura, capace di modificare l’esistente, nella mente e nella realtà.

Da Brasini a Capponi, da Aschieri a Luccichenti, da De Renzi a Ridolfi, fino a Sacripanti, Gorio, Marescotti, questo eclettismo emerge sempre, declinato di volta in volta con diversi linguaggi. Sono le dinamiche di una modernità che si fa spazio e costruisce il nostro domani, un grande patrimonio presente negli archivi dell’Accademia Nazionale di San Luca con cui abbiamo deciso di realizzare il numero doppio 131-132 di AR MAGAZINE.  Il progetto è sempre alla base di qualsiasi cambiamento, il linguaggio diventa il modo di parlare, ciascuno ha una propria lingua ed è capace di dialogare attraverso l’architettura con un mondo in perenne mutamento.

In Brasini il carattere onirico plasma tutta la sua progettualità. Aschieri con la sua vocazione scenografica riesce a costruire palinsesti per il teatro e allo stesso tempo scene urbane, ideando nuovi quartieri. Capponi con un fare organico ante litteram riesce a dare sostanza dinamica alla sua architettura, a cominciare dagli androni delle sue palazzine, come ad esempio la palazzina Nebbiosi con la sua scala elicoidale, capolavoro di modernità. Luccichenti inquadra il progetto in una dimensione internazionale, europea, dando nuovo senso e forma al concetto stesso di palazzina romana in un contesto urbano che parla di futuro e anticipa letteralmente molte delle architetture che abbiamo poi visto in tutto il mondo negli anni ’90 e agli inizi del 2000, ad esempio in Nord Europa, in Olanda, in Germania e altrove. De Renzi proietta la progettazione verso una poetica legata sempre alle esigenze dell’uomo, alla necessità abitativa, costruendo una sua linguistica innovativa ed estremamente attuale. Ridolfi riporta in auge l’architettura sognata, diventando – come sosteneva Paolo Portoghesi – l’ultimo dei borrominiani. Dai progetti abitativi e urbani di viale Etiopia, del Tiburtino, alle ville, dalle Poste di piazza Bologna al progetto per il Motel Agip, Mario Ridolfi insegna che è possibile realizzare la concretezza del sogno: si può costruire la materia sognata e cambiare il presente. Sacripanti fonda, invece, una nuova linguistica visionaria, portando più in là, oltre l’orizzonte del contemporaneo, i meccanismi che fanno nascere la costruzione strutturale di un futuro possibile. Sacripanti è il genio visionario per antonomasia, lancia verso il domani un modus progettuale che (come accadeva anche per Luigi Pellegrin) è capace di realizzare e costruire nuovi habitat, nuovi universi progettuali di riferimento.

Gorio è il professionista colto, con la sua concretezza progettuale ricorda che i professionisti sono al centro di qualsiasi cambiamento. Gorio è l’architetto con la vocazione sociale, per lui la collettività è alla base di qualsiasi ragionamento operativo, in un contesto urbano che può essere migliorato solamente attraverso la qualità. Dalla casa del Maresciallo al suo contributo per Corviale, questo approccio emerge e sancisce il ruolo dell’architetto professionista, in grado di migliorare la società. Cosa che si palesa anche nel linguaggio di Marescotti, attraverso le sue costanti ricerche sull’abitare. Quelle di Marescotti sono riflessioni tipologiche, importanti perché anticipano e parzialmente tentano di risolvere grandi problematiche che abbiamo ancora oggi, a cominciare dalla emergenza abitativa.

Ciò che emerge dai Fondi archivistici dell’Accademia Nazionale di San Luca è anche un approccio che lega sempre l’arte all’architettura, non solo nelle tecniche di rappresentazione ma nella coscienza filosofica del progetto. Come ci ha spiegato Franco Purini nell’intervista pubblicata su questo numero, il Novecento è stato il secolo che ha riunito artisti, scrittori, registi, attori, architetti, con il fine talvolta utopistico di creare nuovi universi di comprensione del reale, proiettati in avanti con uno sguardo lungo. Questo avviene con Maurizio Sacripanti – genio utopista – che con un’architettura cinetica scardina alcuni meccanismi del presente, unendo arte e architettura in un ragionamento che costruisce nuove visioni, legandole alle riflessioni artistiche sul movimento della materia.

Le figure dei grandi critici dell’architettura e dell’arte, con personalità come Giulio Carlo Argan (solo per citarne uno), hanno certamente contribuito nella seconda parte del Novecento non solo a raccogliere le istanze dei maestri del passato – quindi le istanze della storia dell’arte e dell’architettura da fine ’800 al costruttivismo, dal realismo magico e fiabesco del Brasini al linguaggio mitteleuropeo di Ugo Luccichenti – ma hanno anche condotto il vascello della sperimentazione verso nuovi lidi, mettendosi al timone della nave, proiettando e indirizzando, facendo dialogare artisti, registi e scrittori con gli architetti, in quella che Purini ha definito una “università a cielo aperto” dove si poteva fare cultura, seduti a un bar del centro di Roma. Quindi personalità come Sacripanti – ma anche talenti visionari come Luigi Pellegrin, creatore di habitat – sono riusciti a esprimersi in questo contesto culturale, ricco, multiforme e pieno di energia. Un mondo in cui ciò che ancora non era visibile viaggiava di pari passo con il cambiamento della città, a volte anche in maniera sbagliata, eccessiva, talvolta ideologica, ma sempre con lo sguardo oltre l’orizzonte di ciò che viviamo giorno per giorno, per cambiare il mondo.

Questa è (forse) l’importanza della ricostruzione che abbiamo cercato di fare con il numero doppio di AR MAGAZINE che state leggendo, per andare a riscoprire l’essenza di quella profonda attitudine, persi come siamo in un mondo in cui l’estrema parcellizzazione delle arti e della cultura rischia di rendere arido il meccanismo complessivo, in assenza di punti di riferimento culturali come erano un tempo Argan, Zevi, Portoghesi e altri che non solo hanno scritto pagine memorabili, ma hanno anche tentato di guidare, a volte riuscendoci, il processo del cambiamento operativo, concreto, reale, politico della nostra società. Scrivendo utopie per il nostro futuro.

Marco Maria Sambo

Segretario dell’Ordine degli Architetti P.P.C. di Roma e Provincia
(da settembre 2021 a settembre 2025)

Direttore editoriale di AR Magazine, AR Web, Pubblicazioni OAR

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