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15 Luglio 2021

Concorsi, punti di forza e criticità. Bilancio dell’azione OAR. La proposta: unificare piattaforme esistenti

di Redazione OAR

Centralità del progetto, nomina e scelta delle giurie, selezione dei requisiti, materiale richiesto, competenze, chiarezza degli obiettivi e – non certo ultimi per importanza – creazione delle condizioni affinché la procedura abbia un esito concreto fino alla realizzazione dell’opera. Sono stati alcuni dei temi trattati nel corso di «I concorsi di progettazione – dall’organizzazione all’esito», convegno – erogato sia in presenza che in modalità streaming – che si è svolto ieri, 14 luglio, alla Casa dell’Architettura e che ha puntato i riflettori su uno dei focus su cui si è concentrata l’azione dell’Ordine degli Architetti di Roma nel corso dell’attuale mandato, attraverso l’analisi normativa della procedura a due gradi, l’esame di punti di forza e criticità, la raccolta di proposte di miglioramento.

L’evento è stato anche l’occasione di fare un resoconto dell’attività svolta dall’Area Concorsi OAR, che ha portato all’organizzazione e/o coordinamento da parte dell’Ordine di otto concorsi di progettazione in due gradi tra 2019 e 2021, di cui cinque conclusi e tre in itinere, ai quali si aggiungono due concorsi in fase di preparazione. Sono stati 344 i partecipanti, proposte progettuali prevenute da architetti e studi di progettazione (considerando sette procedure concorsuali su otto tra quelle realizzate). Obiettivi dell’azione dell’OAR sono stati:  supporto e coordinamento per affiancare sia le amministrazioni pubbliche che gli enti privati nel promuovere i concorsi di progettazione come strumento indispensabile per garantire la qualità degli interventi di trasformazione del territorio, in un percorso di trasparenza e affidabilità degli esiti, offrendo la più ampia possibilità di partecipazione ai progettisti.

A introdurre l’evento e ad avviare la riflessione è stato Andrea Iacovelli – consigliere OAR e coordinatore scientifico del convegno – che ha definito il concorso di progettazione in due gradi, tra l’altro, come «una sorta di momento magico in cui le competenze professionali vanno al loro posto in modo quasi automatico. Vengono meno rapporti conflittuali tra diverse professioni e si favorisce la collaborazione». Non mancano, tuttavia, le difficoltà, per il cui superamento è di fondamentale importanza anche l’impegno concreto del sistema ordinistico. Ed è proprio dagli Ordini di tre grandi città – Roma, Milano e Bologna -, particolarmente attivi nella promozione dello strumento concorsuale, che arriva la proposta, annunciata da Iacovelli di «avviare un progetto di unificazione delle tre piattaforme digitali esistenti per le procedure concorsuali (Concorsiawn, Concorrimi, Concorsiarchibo), con l’obiettivo: avere una unica piattaforma nazionale».

Ad inquadrare subito uno dei temi chiave per analizzare lo stato di salute dello strumento concorso è stato Piergiorgio Giannelli, già presidente dell’Ordine degli Architetti di Bologna e pioniere delle piattaforme digitali dedicate alle procedure concorsuali con Concorsiarchibo. «La qualità della giuria è fondamentale – ha detto -. A partire dalla sua composizione: massimo due componenti su cinque dovrebbero provenire da amministrazione, gli altri devono essere esterni, in grado di aver uno sguardo distaccato dalle dimensione locale». Altro tema: «Gli obiettivi devono essere chiari. L’ente banditore deve essere in grado di indicare priorità e target da raggiungere: per farlo serve uno studio approfondito nelle fasi preliminari, prima dell’uscita del bando».

Per Stefano Rigoni, consigliere dell’Ordine degli Architetti di Milano e responsabile della piattaforma Concorrimi, il concorso in due gradi «garantisce il confronto multiplo: un dibattito da cui distillare le migliori idee che rispondono alle richieste dell’ente banditore. Ma da solo, il concorso, non è una parola magica. Esistono criticità e abbiamo la possibilità di analizzarle. A Milano, ad esempio, abbiamo attivato tavolo tecnico per capire cosa rende complicato lo sviluppo post concorsuale dei progetti». La scelta della giuria – ha poi aggiunto lo stesso Rigoni, tornando sul tema – «è una dichiarazione culturale. È uno dei pochi modi per indirizzare culturalmente i progetti che si riceveranno».

Il punto di vista della pubblica amministrazione è stato offerto da Chiara Cecilia Cuccaro, dirigente di Roma Capitale, direttore tecnico Municipio I e presidente della giuria dei concorso di Testaccio e Polo Civico Flaminio organizzati con l’OAR. «Il vero problema delle opere pubbliche – ha osservato – è rappresentato dai tempi di realizzazione. Ma, nel nostro Paese, tale criticità riguarda tutte le opere pubbliche. Verità è che il progetto va fatto bene, deve essere affidabile. Servono competenze multidisciplinari e, sempre di più, servono concorsi».

Proposte concrete per migliorare lo strumento concorsuale in Italia, anche alla luce di esperienze estere, sono arrivate da Gianluca Peluffo, architetto che con il suo studio ha partecipato a numerosi concorsi sia in Italia che all’estero. «Affidare incarichi pubblici attraverso concorsi è scelta di crescita per Paese: solo la diffusione dei concorsi può disinnescare i meccanismi che innescano polemiche, ricorsi, dubbi, proteste, individualismi. Tutti gli incarichi pubblici sopra una certa soglia si dovrebbero affidare con concorsi». E ha aggiunto: «Sarebbe utile che i giovani avessero una corsia preferenziale in concorsi fatti per loro, per gli under 35. È necessario individuare opere che per dimensione e caratteristiche siano su misura per i giovani. Senza percorso preferenziale resteranno sempre elitari». Anche per questo, ha concluso Peluffo, «serve una legge nazionale, come in Francia. È necessario calibrare ogni concorso per ciascun tipo di opera e progettazione» Qualche anno fa «c’era rapporto di 2000 a 50 tra i concorsi fatti in Francia e in Italia. Bisogna ridurre questo differenziale».

Ad ampliare ulteriormente l’orizzonte della riflessione è stato Orazio Carpenzano, preside Facoltà Architettura La Sapienza Roma e commissario nei concorsi di Testaccio, Polo Civico Flaminio, Piazza dei Cinquecento. «Un concorso deve porre domande chiare in termini architettonici. L’obiettivo di trasformazione deve assumere un carattere evidente e non deve essere contrattato né da giurie né dopo esito: non è corretto che ciò accada». E, ancora: «È attraverso concorsi di architettura che si sono realizzate opere più belle di questo Paese, a partire dal ‘500», ha ricordato, rimarcando per come, oggi, «occorra strutturare bene la filiera del concorso, con la politica che, nei concorsi pubblici, ha un ruolo centrale. Serve costruzione di un dossier che impegni committente a studiare problema e porlo i termini precisi». Infine Carpenzano ha sottolineato che «l’Ordine di Roma si è attivato con forza su concorsi. Servirebbe osservatorio non solo su procedure ma anche su esiti. Devono essere tutelate le energie investite dai progettisti. Il Concorso deve riacquistare autorevolezza: uno strumento così importante non può morire soffocato da incuria e incompetenza».

L’attenzione è poi tornata sul territorio romano e sulle esperienze concrete portate avanti dall’Ordine degli Architetti di Roma.  A ripercorrere alcuni passaggi è stato Mattia Darò, responsabile Area Concorsi OAR. «Oltre alle competenze tecniche sui vari aspetti della procedura concorsuale – ha detto – l’Ordine ha fornito, tra l’altro, assistenza logistica per le giurie, servizi di comunicazione e, dopo esito, sono state organizzate mostre». A Roma, ha ricordato, i primi concorsi coordinati da OAR sono stati quelli con il Municipio II nel 2019. «Il ruolo dei municipi, da allora, è stato fondamentale e loro spinta ha innescato anche la collaborazione con Roma Capitale».

In programma – è stato infine annunciato da Darò – c’è una pubblicazione dell’OAR, con AR Edizioni, «che ricostruisca una sorta di cronaca dei concorsi organizzati negli ultimi due anni, condensando l’esperienza fatta e rafforzando la ‘letteratura’ del progetto». (FN)

di Francesco Nariello
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