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Architettura
13 Giugno 2025

Il disegno come pensiero architettonico: la lecture di Sergey Tchoban

Lo scorso 12 giugno alla Casa dell’Architettura l’incontro con l’architetto russo naturalizzato tedesco, fondatore dello studio internazionale Tchoban Voss Architekten - Il dialogo critico con Michela Carla Falcone - L’inaugurazione della mostra «Lo Spazio Immisurabile - Piranesi Architetto»

Il significato di progettare oggi partendo dal gesto più classico dell’architetto: il disegno a mano. La capacità di dialogare con la storia urbana senza cancellarla, ma anzi aggiungendole nuovi capitoli. Sono alcuni dei temi che ha sviluppato Sergey Tchoban – architetto russo naturalizzato tedesco, fondatore dello studio internazionale Tchoban Voss Architekten con sedi a Berlino, Amburgo e Dresda – protagonista del nuovo appuntamento del ciclo «Conversazioni sulla pratica del progetto» (qui per saperne di più: LINK), svoltosi lo scorso 12 giugno alla Casa dell’Architettura e organizzato dall’Ordine degli Architetti di Roma,  a cura di Claudia Ricciardi, consigliera OAR, che ha introdotto e presentato l’evento. Tchoban ha articolato il suo intervento — dal titolo Thinking with drawings — attorno a una visione del progetto come atto profondamente radicato nel contesto e, al tempo stesso, sospinto dall’immaginazione. A dialogare con lui – in linea con il format che ha caratterizzato l’intero ciclo di incontri – l’architetto e docente Michela Carla Falcone, che ha guidato la conversazione attraverso citazioni e suggestioni tratte dal pensiero di altri protagonisti dell’architettura, in un confronto aperto e vivace sul ruolo dell’immaginazione, della città come palinsesto frammentario, e della responsabilità culturale del progetto contemporaneo.

Disegnare per capire, per immaginare, per ricordare: sono gesti fondativi della pratica di Sergey Tchoban, intesa come continua interpretazione del «genius loci» e come strumento per custodire e trasformare la memoria delle città. «Non voglio strappare pagine dal libro della storia urbana, ma aggiungerne di nuove», ha affermato, sottolineando l’importanza di un approccio che rispetti la stratificazione storica e culturale dei luoghi. Una posizione che trova forma concreta non solo nei suoi progetti costruiti, ma anche nel Museo del Disegno Architettonico di Berlino — da lui stesso ideato — e in un impegno costante nella trasmissione del valore del disegno come pratica creativa.

«La tema del contesto storico e del genius loci è forse per me la questione più importante. Sono nato a San Pietroburgo, una città che era in linea con molte città europee, quindi già da molto giovane mi chiedevo quali fossero i modelli utilizzati per ricreare quelle architetture nella mia città natale. Ogni volta che lavoro in una nuova città o in un nuovo luogo, mi chiedo quale storia ci sia già dietro. Per me, la città è come un libro di architettura storica, qualcosa che racconta la storia. E io non voglio strappare le pagine di quel libro: voglio solo aggiungerne di nuove. È molto importante per me conservare ciò che già esiste e non cambiare completamente la situazione. Ogni volta cerco di mantenere viva limmaginazione delle persone che hanno vissuto e lavorato in quel luogo prima di me. Non voglio sostituire, non voglio demolire completamente: voglio che anche le generazioni future possano vedere ciò che ho visto io. Per me è fondamentale che il libro storico della città venga arricchito, ma che ogni pagina venga conservata».

Qui la video intervista completa a Sergey Tchoban

Come è strutturato il processo di progettazione all’interno di Tchoban Voss Arkitekten?

S.T.: Attualmente lavoro negli uffici di Amburgo, Berlino e Dresda, e in passato — prima della guerra — lavoravo anche nel mio studio di Mosca. Ma non credo di cambiare approccio in base allufficio in cui mi trovo: il metodo è sempre lo stesso. Prima di tutto, disegno molto a mano. Creo le mie fantasie, le mie prime idee, le immagini iniziali con la mano. Poi cerco di capire quale concetto può essere sviluppato a partire da queste prime intuizioni. Ma il punto di partenza è sempre il contesto, la storia del luogo, del quartiere. I miei progetti si trovano per lo più in grandi città, e ogni grande città ha la sua storia: questa storia è per me una base fondamentale. Creo prima unidea mentale e fisica, e poi passo gradualmente al progetto finito. Questo vale per ogni ufficio in cui lavoro.

Il Museo del Disegno Architettonico di Berlino è una delle vostre opere più riconosciute e riflette il suo legame personale con il disegno architettonico e non solo

S.T.: Il Museo del Disegno Architettonico nasce, naturalmente, dallanima. Non sempre lavoro per me stesso come cliente — e sai, è sempre difficile essere il proprio cliente, perché ogni cliente ti costringe a dei compromessi. Certo, si discute, si cerca di ridurre il compromesso al minimo, ma comunque c’è. Se costruisci per te stesso, per un sogno, il compromesso esiste ancora, perché c’è un costo, ma forse è più gestibile, più costruttivo. Per me, questo museo non è solo importante come edificio, come progetto (che ormai ha più di tre anni e mezzo), ma è importante come progetto vivente, come museo. Lo sviluppo continuamente, ogni nuova mostra. Per esempio, ora abbiamo una mostra sullarchitettura della Repubblica Democratica Tedesca, che è stata ampiamente pubblicata da Domus, e ne sono molto felice. Amo creare le mostre, perché per me il disegno è qualcosa che materializza il pensiero architettonico. Oggi ovviamente gli strumenti digitali sono fondamentali per realizzare gli edifici, ma per me il passo più importante è il primo — e il primo passo lo fai con il corpo, non solo con la mente: dalla mente alla mano e poi sulla carta. Ecco perché mi piace esporre disegni di architetti noti, storici, ma anche molto giovani. Abbiamo iniziato un bellissimo programma per giovani architetti. Credo che oggi le persone stiano tornando al mondo fisico: per molto tempo si è lavorato solo con limmaginazione digitale, con media artificiali, ma ora si capisce quanto il mondo fisico sia importante per la nostra professione. Molti giovani disegnano di nuovo a mano, e io li seleziono. Per esempio, uno studio di architettura cinese che ho visto alla Biennale lho subito invitato a partecipare alla mia prossima mostra nel 2027. Il messaggio è: la nuova architettura ha bisogno della mano, dellimmaginazione, dellanima, tanto quanto in passato. Questo è un messaggio molto importante per me — che si esprime non solo nelledificio stesso, ma anche nel programma che ho sviluppato insieme al mio team e alla direttrice del museo. E credo che sarà un successo.

Il disegno a mano rimane un elemento centrale del suo processo creativo. In che cosa si differenzia da un progetto sviluppato digitalmente?

S.T.: Il disegno a mano è il primissimo passo. Il disegno digitale è uno strumento necessario per costruire oggi, perché non si può realizzare un edificio senza prestazioni digitali. Ma il disegno a mano è lespressione diretta del mio pensiero, è il primo passaggio. Ed è estremamente importante, altrimenti non potrei esprimermi. Certo, si può esprimere con le parole, con degli appunti, ma io mi esprimo con il disegno. È il modo più naturale per un architetto di annotare le prime idee in una forma quasi definitiva. Per me è del tutto naturale. E sono felice di sviluppare poi i progetti con i miei collaboratori, trasformando quel primo disegno in un disegno digitale, e poi in un edificio. Ma non è un processo in cui scelgo tra disegno digitale o a mano: prima ci sono la mente e la mano, poi il digitale entra in collaborazione, e infine arriva ledificio costruito.

Ha realizzato importanti progetti di riqualificazione urbana in contesti urbani molto diversi. Esiste un filo conduttore o adotta una strategia interamente site-specific?

S.T.:Il contesto è sempre diverso. A Berlino è diverso, a Mosca, ad Amburgo, a Dresda, a Francoforte, a Monaco, in Italia è diverso. Lavoro in tante città oggi, ma vedo che la cosa fondamentale resta sempre la stessa: conoscere la storia di quel luogo, capire da dove provengono le idee e i dettagli che circondano il sito. Per questo è importante per me disegnare i dintorni, gli edifici circostanti. Disegnare mi aiuta a capire, anche più di quanto capisca solo con la mente. A volte disegnando scopro di più, e capisco che quel pezzo di immagine è proprio ciò che voglio realizzare. Come dico sempre: un buon edificio è un edificio disegnabile. Un edificio che mi viene voglia di disegnare anche dopo, e magari che ho voglia di vedere realizzato dopo averlo progettato. Questo è il mio modo di lavorare in ogni città: partire dal contesto storico e culturale del luogo in cui mi trovo a progettare.

Dopo la lecture, seguendo il format adottato per l’intero ciclo delle «Conversazioni sulla pratica del progetto», è andato in scena il dialogo critico tra l’ospite internazionale e un giovane architetto/ricercatore/docente: ad animarlo è stata l’architetta Michela Carla Falcone, le cui riflessioni insieme a Tchoban, si sono concentrate, tra l’altro, proprio intorno al tema del disegno, «che è il medium più evidente nella sua pratica e nella sua ricerca» anche utilizzando come spunti «alcune citazioni di altri architetti o personaggi del milieu culturale che hanno formato il contesto architettonico contemporaneo».

Qui la video pillola con Michela Carla Falcone

Falcone è anche la curatrice della mostra inaugurata alla fine dell’incontro con Tchoban, dal titolo «Lo Spazio Immisurabile – Piranesi Architetto», presso il monitor P – Casa dell’Architettura, visitabile, con ingresso libero, fino al prossimo 8 luglio (lunedì–sabato, ore 10.00–19.00). Il percorso espositivo – promosso da Ordine degli Architetti PPC di Roma e provincia, Casa dell’Architettura e Festival dell’Architettura di Rom – propone un dialogo tra le incisioni originali di Giovanni Battista Piranesi e le opere di dieci architetti internazionali contemporanei, riflettendo sull’eredità di Piranesi come anticipatore del pensiero architettonico moderno (qui per saperne di più: LINK https://casadellarchitettura.it/lo-spazio-immisurabile/). (FN)

di Francesco Nariello

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