La figura di Paolo Portoghesi, a due anni dalla scomparsa avvenuta il 30 maggio 2023, mantiene la sua attualità, in virtù della capacità del personaggio di anticipare le tendenze cogliendo lo spirito del tempo, e si proietta al di là dei confini delle categorie storiografiche, soprattutto grazie all’imponente mole di materiale depositato nei fondi archivistici che raccolgono le testimonianze della sua produzione. Il convegno “Paolo Portoghesi. Oltre il moderno – L’architettura e la storia operativa” organizzato dall’Ordine degli Architetti di Roma (OAR) (Casa dell’Architettura, 28 maggio 2025) ha lasciato intravedere l’ampiezza e la varietà della documentazione che in parte è già stata acquisita dalle collezioni di architettura del MAXXI, in parte attende di essere traferita dalla tenuta di Calcata, sede degli ultimi anni di vita e di attività di Portoghesi, per diventare oggetto di analisi e catalogazione.

L’incontro coordinato da Marco Maria Sambo, Segretario OAR, Direttore AR Magazine, e Luca Ribichini, Architetto, Professore Facoltà di Architettura, Sapienza Università di Roma, ha anche tracciato il profilo umano di Paolo Portoghesi, per molti versi indistinguibile da quello professionale, essendo entrambi caratterizzati dalla predisposizione all’ascolto, dal valore dell’amicizia e dall’amore per l’arte. Come ha evidenziato Alessandro Panci, Presidente OAR, ricordando il legame del maestro con l’Ordine: “Una delle figure che come pochi altri è riuscito a parlarci di architettura, del suo pensiero sull’architettura, è stato proprio Paolo Portoghesi. Lo ha fatto non solo con i tanti scritti e le tante opere che conosciamo, ma anche attraverso un impegno che lo ha visto molto vicino alle attività che sta portando avanti l’Ordine degli Architetti di Roma e provincia (…), soprattutto su tutto quello che concerne il Moderno e – come dice il titolo dell’evento – [va] anche oltre il Moderno”.

“Gli scritti di Portoghesi sono dei classici che saranno ricordati, studiati, per almeno i prossimi cinquecento anni”, ha ribadito Marco Maria Sambo: “[Sono] scritti che arrivano a delineare nuove poetiche, come nel caso del suo libro ‘Poesia della curva’, che è il racconto di una ricerca durata più di sessant’anni. Attraverso le sue costruzioni e i suoi scritti, Paolo Portoghesi ha sempre cercato di trasformare l’essenza della storia in contemporaneo, a partire dallo studio sul Barocco, e lo ha fatto in varie forme, ragionando sulle dinamiche borrominiane e sul classico, traducendo tutto in architettura”.
“Era molto legato al concetto di genius loci“, ha aggiunto Luca Ribichini, citando la definizione tratta da uno degli ultimi libri pubblicati da Portoghesi: “il genius loci rappresenta in un certo senso l’anima del luogo, inteso come frammento del corpo del mondo, qualcosa che può scaturire e [si può] descrivere a patto di saper vedere l’invisibile, ascoltare l’indicibile, toccare l’intoccabile, ascoltare il silenzio”.

Il volume “Paolo Portoghesi dal Moderno al Barocco e oltre”, a cura di Luca Ribichini è uno dei Tascabili di AR Magazine, la collana che sta per vedere la luce proprio in queste settimane, e contiene le interviste uscite sulla rivista dell’Ordine degli Architetti di Roma, corredate da una lettera inedita che Portoghesi scrisse in occasione dei 100 anni della Facoltà di Architettura Valle Giulia della Sapienza. “L’intento di questi Tascabili è quello di riprendere, all’interno del percorso di AR Magazine dal 2018 a oggi, alcuni elementi e metterli insieme con nuove idee, ripubblicare interviste, articoli, per poi guardare al futuro e andare anche oltre nelle riflessioni”, chiarisce Marco Maria Sambo.
La collana sarà aperta dal tascabile dedicato a Bruno Zevi, ‘Paesaggistica e grado zero della scrittura architettonica’, e, dopo l’uscita su Portoghesi, proseguirà con un volume dedicato a Luigi Pellegrin, “Nuovi habitat e visioni di architettura”. Sono in programma anche un tascabile su Sara Rossi e uno sugli archivi, a cura di Erilde Terenzoni, Commissione Archivi e Osservatorio 900 OAR.

Storia come modello per l’utopia, dalla mostra su Michelangelo architetto alla “alberità”
Il convegno “Paolo Portoghesi. Oltre il moderno” ha ospitato la lectio con cui Marcello Fagiolo, storico dell’arte e dell’architettura, ha abbracciato lo sviluppo della carriera di Portoghesi dagli inizi accanto a Bruno Zevi negli anni ’60 fino ai primi del 2000, con il racconto da un punto di vista privilegiato dei momenti salienti, a partire dalla esposizione dedicata a Michelangelo nel quarto centenario dalla morte, “una mostra in cui si crea un clima del tutto particolare, innovativo, qualcosa che non si era mai visto in precedenza (…), lo straordinario progetto di allestimento in cui Portoghesi si è ispirato alle forme delle fortificazioni di Michelangelo (…). Le pareti in polistirolo erano candide, vibranti, in un caleidoscopio di frammenti immerso in brani musicali (…). C’erano le sonorità elettroniche, le Modulazioni per Michelangelo di Vittorio Gelmetti, l’assalto sinestetico, multisensoriale, gli impianti audiovisivi (…). L’allestimento voleva essere un’opera aperta, al modo di Umberto Eco, contro la chiusura dell’Accademia. La mostra suscitò un grande dibattito e si assisteva, da un punto di vista teorico, al trionfo della teoria dello spazio (…)”.

L’approccio di Portoghesi all’ideazione della mostra su Michelangelo si pone in termini che anticipano la contemporaneità, così come in una prospettiva di futuro si colloca il suo interesse per lo spazio curvo, il concetto di campo definito da Einstein -“se prendo una linea retta, creo uno spazio neutro, mentre la linea curva da una parte comprime lo spazio e dall’altra lo dilata”.
Fagiolo ha citato anche la componente utopica e spirituale del linguaggio di Portoghesi, autore di edifici come la Chiesa della Sacra Famiglia a Salerno o la Moschea di Roma, che trasferisce in forma di struttura uno dei suoi capisaldi: “Tra i miti di Paolo c’è anche l’alberità, l’identificarsi dell’architettura anche con l’albero, sia in senso fisico – e Paolo introduce più volte il tema dell’albero a confronto con le sue architetture arborescenti – sia in senso filosofico. L’albero con tutto quello che c’è al di sotto e al di sopra: le radici sotto, che nella storia dell’architettura sono la componente essenziale che consente all’albero di nutrirsi attraverso le radici della storia; in alto, i rami, la diramazione, la diffusione nel mondo dello spazio architettonico”.
Disegni, fotografie, modelli: l’attualità di Portoghesi attraverso gli archivi
Tra gli oltre cento fondi di architettura del Novecento custoditi al Museo Nazionale delle arti del XXI secolo (MAXXI) rientra anche l’archivio “donato dal professor Portoghesi e dichiarato di notevole interesse dalla Soprintendenza archivistica nel 2006”, come ha precisato Angela Parente, Dipartimento Architettura Museo MAXXI, descrivendo il lascito comprendente una grande varietà di materiali: una sezione è dedicata ai disegni, ripartiti in 580 tubi, a cui si somma il settore in cui documenti, fotografie, schizzi e copie cianografiche sono racchiusi in 464 faldoni conservati dentro armadi compattabili.

“Una parte del fondo è costituita da tutte le tesine dei suoi studenti“, sottolinea Parente, e da “tantissimi quadri (…) e locandine. Non ci sono, perché conservate ancora a Calcata, le tantissime – non so quante – scatole di fotografie (…), e oltre venti modelli“, molto difficili da trasportare nei depositi del MAXXI, perché enormi. “Uno tra tutti, quello della Moschea (…). Sono conservati ancora a Calcata, nel padiglione dove erano stati allestiti da Portoghesi in una sorta di mostra temporanea (…)”.
Nader Akkad, Imam della Moschea di Roma, nel messaggio di saluto inviato al convegno tramite il coordinatore Luca Ribichini, ha rivelato che nella Moschea è custodita una serie di disegni del Concorso vinto da Paolo Portoghesi (…) e ha comunicato l’intenzione di esporli in uno spazio dedicato.
Il buen ritiro che ha ispirato Portoghesi nella formulazione dei principi della geoarchitettura, con cui si è calato nella contemporaneità della globalizzazione e del cambiamento climatico, costituisce una importante fonte di studio anche dal punto di vista bibliografico. “A Calcata si trovano 60.000 libri” ha ribadito lo stesso Ribichini, “un’infinità di conoscenza, di sapere, organizzata in maniera assolutamente esatta”.

La sistemazione e la lettura critica dell’archivio di Paolo Portoghesi consentiranno di trovare riscontri della sua attività di storico, progettista e docente, ma soprattutto apriranno agli studiosi nuovi percorsi di approfondimento su una metodologia di ricerca, contaminata dalla frequentazione delle arti, ancora utile per decodificare la complessità del presente. Nel ritratto tracciato dall’amico Erio Carnevali, “Portoghesi era un artista e, per questo, anche un grande architetto. Questo è evidente nei suoi disegni degli anni ’50, che analizzano un aspetto visivo ed emotivo, oltre che semplicemente estetico. Tali disegni nascono da una guida poetica, trasformando l’esperienza del trio Borromini, Rimbaud e Leopardi in un sentire interiore che guarda lontano e contribuisce al suo percorso artistico ed estetico”.
Portoghesi raccontato da Portoghesi
Durante l’incontro, animato dai racconti di allievi e collaboratori di Paolo Portoghesi, quali Claudio Strinati, Critico e Storico dell’arte, Francesco Cellini, architetto, Presidente Accademia Nazionale di San Luca, Pino Pasquali, architetto e urbanista, Presidente Atelier Appennini, sono stati presentati gli estratti da due videointerviste, che hanno prodotto una forte suggestione, per la presenza illusoria in sala – sul display – dell’immagine del maestro da vivo e per la lucidità delle sue dichiarazioni sui temi connessi al programma dell’evento.
Nel primo filmato, parte di una intervista rilasciata all’epoca della mostra al MAXXI “Dentro la Strada Novissima” (2018), Paolo Portoghesi, curatore dell’esposizione, ripercorreva la genesi dell’opera che aveva dichiarato “La presenza del passato” alla I Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia (1980). [Racconta Portoghesi]: “C’erano venti spazi per le facciate e gli architetti che avevamo scelto erano effettivamente venti. Poi all’ultimo momento uno degli architetti, Portzamparc, si è tirato indietro – è rientrato poi nell’edizione parigina fatta dal Festival D’Automne. A quel punto, le facciate erano diciannove, le interassi erano venti, quindi pensammo di fare qualcosa. Mancava proprio la facciata dell’ingresso e quindi pensai io stesso di farla (…). Per me era fondamentale ricordare un’opera di Borromini: era una specie di dovere che sentivo, perché in fondo tutta la mia storia intellettuale nasce da questo incontro / scontro con una figura come quella di Borromini, rivoluzionaria nel senso più profondo della parola (…). In un primo tempo – ho un album in cui ho ancora gli schizzi di questa facciata – avevo pensato alle fiamme, cioè a fare un edificio fiammeggiante, che desse la sensazione di questo fuoco purificatore, per dare una specie di metafora dell’intera strada. Poi, invece, mi sono arreso: si trattava in fondo di creare una porta e quindi in questa porta ho cercato di ricordare San Carlino, come sperimentazione dello spazio (…), dove il tentativo era di rendere chiaro che lo spazio è l’elemento fondamentale dell’architettura e quindi va plasmato astrattamente prima ancora che le forme architettoniche si definiscano“.

Il secondo contributo, presentato da Pasquale Piroso, architetto che ha avuto Portoghesi come professore, era un frammento del video dell’ultima uscita pubblica, in cui Paolo Portoghesi si esprimeva sul rapporto tra natura, bellezza e architettura: “Il Moderno era diventato a sua volta un’ortodossia, un abito stretto. Il Postmoderno è stato rivendicare la libertà di muoversi in direzioni diverse (…). Naturalmente il ’68 è stato anche un momento felice, perché la voglia di cambiare si era diffusa in modo capillare e quindi era giusto che investisse anche l’architettura. Come poteva investirla, come poteva cambiare l’architettura? Credo fondamentalmente ritornando alla natura e alla bellezza (…): la bellezza è quello che unisce tra loro persone diverse, che non si sono mai viste, né hanno vissuto insieme, e che però reagiscono in modo analogo a dei fenomeni. La bellezza è uno strumento di partecipazione, di coinvolgimento“.