50 ANNI DI PROFESSIONE

Martini Massimo
Martini Massimo
Martini Massimo

Massimo Martini nasce a Roma il 12 giugno 1937. Nel 1962 si laurea in Architettura presso l’Università di Roma “Sapienza” e nel 1964 si iscrive all’Albo dell’Ordine degli Architetti PPC di Roma e provincia con il n. 1604. Da allora, e senza interruzioni, conduce un’intensa attività di libero professionista. Dal ‘93 al ‘98 è professore a contratto nella Facoltà di Architettura presso il Politecnico di Bari.

È uno dei soci fondatori dello Studio GRAU di Roma con il quale, fin dalla costituzione nel 1964, condivide tutte le tappe evolutive: sia nel dipanarsi della professione che nel più generale dibattito del fare architettura.
In tal senso è bene precisare, ai fini di una migliore comunicazione istituzionale, come il complesso del lavoro dello Studio GRAU sia stato recentemente suddiviso in due distinte fasi: dal 1964 al 1984 (GRAU.1) e dal 1984 ad oggi (GRAU.2). La prima fase vede gli attori operanti in un’unica sede; la seconda li vede rimanere fra loro coordinati, ma in forme associative via via più libere e articolate. In questo quadro non mancano, ovviamente collaborazioni con soggetti terzi sia in occasione di concorsi che di incarichi professionali complessi. Non deve perciò sorprendere come la storia personale di ognuno vada fatalmente a intrecciarsi con quella degli altri protagonisti di questa irripetibile esperienza e come la riduzione al singolo di progetti, scritti, idee, mostre e riconoscimenti sia molto difficile e per alcuni versi impossibile. Ma è altrettanto vero che, con un minimo di attenzione, non è difficile riconoscere le diverse identità, così come rintracciabili nei progetti e come spesso descritte da libri e pubblicazioni dedicati.

L’idea è che tutta la prima fase, quella di GRAU.1 per intendersi, sia caratterizzata da un alto tasso di elaborazione teorica, culminata con la partecipazione alla Prima Biennale di Architettura di Venezia The presence of the Past quando, nel 1980, prende corpo anche in architettura una tendenza figurativa nella cornice storico-critica delineata dal pensiero post-moderno.
In questo clima ogni progetto, ogni concorso viene usato per riaffermare nuove idee (del caso l’apertura alla Storia tutta) e ogni segno si carica di messaggi anche attraverso forzature, spesso eccessive. Così val bene ricordare il concorso per il Monumento allo Scugnizzo delle Quattro Giornate di Napoli (1964), il concorso per il Teatro dell’Opera di Udine (1975), il concorso per la sistemazione dell’area de Les Halles a Parigi (1979), il concorso per un istituto tecnico agrario a Maccarese, Roma (1980), il concorso per la nuova facciata del liceo Miccichè a Scicli, Ragusa (1982). Facendo riferimento, si badi bene, sia per quanto riguarda i “coautori” che per l’opera tutta del periodo citato, al libro GRAU: isti mirant stella. Architetture 1964-1980, ed. Kappa, Roma 1981.
Al contempo si ritiene utile ricordare come risulta appassionante l’attività di cantiere, per nulla messa in dubbio dalla parallela battaglia delle idee e che, del caso, sia inevitabile mettere in evidenza almeno Casa Eletti a S. Angelo Romano, Roma (1966), l’edificio di civile abitazione a Cori, Latina (1969), Casa Rosato a Roma, (1972), Casa del musicista all’Elba, Livorno (1974), Casa Mastrojanni a Vitinia, Roma (1975), la Sede dell’HLM a Roma (1976), Casa Santini a Bracciano, Roma (1982), il Campus scolastico in Via Tedeschi a Roma (1983), Vasi e tufi, mostra archeologica a Grottaglie, Taranto (1984).

Per quanto attiene l’attività degli anni che seguono il riconoscimento internazionale di Venezia, tutto diviene più fluido dentro un contraddittorio ritrovarsi, o meno, nei dettami del vittorioso post-moderno. Vince un sentimento di curiosità verso la professione in genere, se non altro come verifica di quanto si è sostenuto nel tempo. I segni degli anni duri e puri ora si “meticciano”, e giustamente, anche sotto la spinta di curiosità, inclinazioni personali, solitudini.
Emergono tre esperienze personali con una valenza superiore alla semplice occasione di cantiere. Innanzi tutto la possibilità di seguire la lunga fase della ricostruzione post-sisma in Irpinia, in particolare nel paese di S. Gregorio Magno (Salerno). Quasi in contemporanea l’idea di “attivare” un quartiere operaio nella città di Grottaglie (Taranto), una delle città della ceramica in Italia. Attivarlo come quartiere specifico di botteghe artigiane finalmente aperte al pubblico. Infine cinque anni di insegnamento all’Università di Bari dove una materia inesistente (Architettura degli interni e Arredamento) conduce a inattesi esperimenti nel campo del re-styling: il tema dei temi nell’Italia di oggi.
Queste esperienze trovano parziale testimonianza in due libri che lo vedono autore: Architetture di strada, ed. Kappa, Roma 1984 e Grottaglie come altrove, ed. Kappa, Roma 1989.

C’è poi una coda dell’esperienza post-sisma in Campania, una serie di progetti pilota (si veda l’indicativa CIPE del 1999) che culminano con incarichi nel Cilento e nel Sannio per opere di “rilettura” e riassetto del territorio. Un’apertura ai grandi problemi della conservazione e del restauro da applicare a centri urbani in parte abbandonati dentro l’emergere di una forte coscienza critica a favore del riassetto ambientale e della “rilettura” delle storie locali.
Anche queste esperienze alla fine confluiscono in una pubblicazione specifica, un libro in edizione e-book in uscita on line entro la metà del 2017 e intitolato Riscrivere, Collana GRAU.2, Roma.

C’è anche la piccola soddisfazione di vedere i propri disegni, assieme a quelli dei colleghi di Studio, acquisiti agli archivi del Centre Pompidou di Parigi nel 2008.

Infine “… un piccolo bilancio che nel caso di un cinquantenario è quasi dovuto. Tutto è molto complesso si sa, ma qualcosa si può e si deve dire.
1. Il condividere con altri un’esperienza come quella dello Studio GRAU ha consentito a ciascuno di vivere non una, ma dieci vite professionali. E questo è un grande dono del destino.
2. Il cliente e il tecnico (anche l’artista se vogliamo) sono oggi l’uno per l’altro degli sconosciuti. Il cliente, specie se pubblico, dice cose senza senso. Il tecnico abbassa il suo profilo per poter rientrare in quella soglia bassa sotto la quale si trova sempre salvezza. Non c’è più la buona architettura media, quella che fa le città. Non servono i capolavori, quelli vengono quando vogliono loro.
3. Solo investendo sul progetto, su un buon progetto a lungo meditato, si può trovare un ragionevole futuro. Anche la storia, nell’orribile cliché dei ‘vecchi sapori’, finisce per divenire una triste prigione. Bisogna promuovere il progetto, perché la buona architettura, ‘quale che sia, nella piena libertà di coscienza di chi la disegna’, fa solo che bene.”.

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