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28 Marzo 2022

Gli esordi di Kenzō Tange, dalla Manchuria a Hiroshima – di Marco Falsetti

Kenzō Tange è stato uno dei maestri indiscussi dell’architettura moderna, una figura eccezionalmente prolifica attiva fino agli ultimi anni della sua vita in quasi tutti i contesti e i continenti. La sua lunga carriera ci ha lasciato una moltitudine di opere estese alle diverse tipologie e scale del progetto, da quella del singolo manufatto edilizio a quella territoriale. Gli ultimi venti anni, come notava anche Francesco Dal Co in un editoriale di Casabella di un paio di anni fa, hanno visto tuttavia la figura di Tange entrare in una sorta di cono d’ombra, una circostanza che appare tanto più ingiustificata se la si rapporta alla sua centralità per il dibattito teorico sull’architettura della seconda metà del Novecento. I grandi temi megastrutturali, così come la risemantizzazione del rapporto con la tradizione, realizzata attraverso le forme rivoluzionarie della modernità, sono valsi a Tange  un posto d’onore tra i maestri del Modernismo –il primo non occidentale–, generando una lunga filiazione che, attraverso i discepoli di Metabolism, arriva fino ai giorni nostri.

La comparsa di Kenzō Tange sulla scena architettonica mondiale non è tuttavia improvvisa come a lungo l’ha dipinta molta letteratura specialistica, bensì affonda le proprie radici all’interno di quell’eccezionale milieu culturale che fu, per gli architetti, il periodo coloniale. 

1) Cartolina celebrativa per i 2600 anni dell’Impero Giapponese. Esposizione della “Shining Technology”, 1940.

Nel 1940, mentre in Europa divampavano i fuochi del secondo conflitto mondiale, il Giappone, ad 8000 chilometri più ad est, era intento a celebrare il duemilaseicentesimo anniversario dalla sua mitica fondazione ad opera dell’Imperatore Jimmu. Erano anni eccezionali per l’impero del Sol Levante che, dopo oltre un decennio di instabilità economica e politica, sembrava avere trovato nell’impresa coloniale una soluzione efficace ai suoi problemi interni. Si trattava però di una calma apparente ottenuta al prezzo di un militarismo aggressivo che non tarderà a manifestare il suo vero volto nei fantasmi della campagna cinese.

Nelle rare immagini dell’epoca si scorgono i volti festanti di un popolo ancora ignaro della tragedia atomica che si consumerà da lì a cinque anni, e tuttavia non possiamo non notare, nelle scenografiche disposizioni delle masse festanti, la pressoché totale assenza di architetture, se si eccettuano i complessi templari storici consacrati al culto imperiale. Sorge lecita la domanda: dove sono i monumenti, le realizzazioni e i simboli della modernità che l’Impero vanta coi vicini asiatici promettendo la liberazione dal “giogo europeo”? Quali le ragioni dell’assenza –su un piano formale– di una disciplina che, al contrario, veicola gli sforzi propagandistici e i progressi tecnologici di molti dei paesi contemporanei, dagli Stati Uniti del New Deal all’Italia fascista, dalla Gran Bretagna all’Unione Sovietica? La risposta è: lontano dall’Arcipelago. Nelle sterminate pianure della Manchuria, amministrate dall’armata giapponese attraverso uno Stato satellite – nominalmente grande impero del Manchukuo–, moltitudini di operai lavorano febbrilmente alla costruzione di moderne città di pietra e di cemento – come la capitale mancese Hsinking, dotata di parchi e grandi boulevard all’europea–, in uno sforzo immane teso a presentare al mondo (soprattutto agli altri paesi asiatici) il volto conciliante del progetto espansionistico giapponese.

In virtù delle sue implicazioni con la guerra del Pacifico, la stagione coloniale giapponese è stata a lungo trascurata dalla critica architettonica, la qual cosa ha impedito di inquadrare correttamente le parabole di diverse figure che diverranno poi centrali nel periodo del dopoguerra. Kenzō Tange in primo luogo, ma anche Kunio Maekawa e Junzo Sakakura, conoscono infatti i primi successi professionali proprio lontano dal Giappone, basti pensare ai progetti per il Municipio di Dairen (Maekawa, 1938), al South Lake Complex (Sakakura e Tange, 1939) e alla Banca commerciale Kakō. La crisi economica dei primi anni ‘30 e la conseguente penuria di commesse pubbliche aveva infatti provocato una brusca contrazione nel mercato professionale obbligando molti giovani architetti ad emigrare nelle colonie. In particolar modo in Manchuria, una regione vastissima e ricca di risorse naturali, il contesto si rivela eccezionalmente fertile, con una continua richiesta di grandi progetti che spaziano dai teatri alle stazioni ferroviarie, dalle lottizzazioni (come le celebri residenze wrightiane di Arata Endo per la Banca Centrale Manchu) ai grandi ministeri. La Manchuria diviene quindi il banco di prova di una serie di soluzioni pensate, in una prospettiva di lungo termine, per essere ri-esportate anche in Giappone, dove la sperimentazione tipologica e infrastrutturale è fortemente limitata dalla presenza di centri grandi e popolosi.

Intorno alla metà degli anni ’40, all’interno di un mutato quadro ideologico che vede riconoscere all’architettura quei caratteri che nei paesi occidentali essa veicola già da molti anni, maturano le condizioni per una stagione di concorsi destinati a dare forma fisica ai desiderata dell’Impero. Se il primo di questi –quello per il Memoriale alla Fondazione della Nazione– si risolve in una serie di proposte sobrie e dal tono dimesso, è il secondo, quello per il Memoriale alla Sfera di Co-prosperità della Grande Asia orientale (Dai tōa), che segna l’emergere di una nuova stagione e, soprattutto, di una nuova visione della modernità.

2) La proposta vincitrice di Tange per il Memoriale alla Sfera di Co-prosperità della Grande Asia Orientale, 1942. Prospettiva aerea. Fonte: Kenchiku zasshi 56, n. 693, dicembre 1942. Courtesy of Tange Associates.

La proposta vincitrice è opera di un architetto trentenne che ha da poco lasciato lo studio di Maekawa e il cui contributo è destinato a influenzare in maniera duratura l’architettura del Sol Levante: Kenzō Tange. Nonostante si tratti di un’opera giovanile, la proposta di Tange si caratterizza per le molte componenti innovative che l’architetto introduce e che svilupperà poi nel corso della sua carriera: il forte rapporto simbolico, il nesso profondo con i sistemi infrastrutturali, i grandi spazi civici e il ruolo dell’architettura come collettore sociale. Il progetto di Tange è incernierato su una diade geometrica di grandi recinti civili, due enormi “piazze” trapezoidali porticate (si noti come la piazza sia un elemento spaziale storicamente assente nell’urbanistica giapponese ma a lungo oggetto delle ricerche del Maestro) che si fronteggiano lungo la base minore, separate da un asse infrastrutturale/simbolico lungo oltre 100km, che collega il complesso con il Palazzo Imperiale. Tale nesso con l’infrastruttura risulta privo di corrispondenze con il Giappone insulare ma ben inserito all’interno delle sperimentazioni condotte in Manchuria (dove, non a caso, i giapponesi si erano imposti proprio attraverso opere infrastrutturali, ritenendole strumenti propagandistici preferibili all’architettura tout court che, per ovvie ragioni, veicola linguaggi e dunque messaggi). La composizione generale è dominata dalla mole imponente dell’aula commemorativa in cemento armato (150m di lunghezza x70 d’altezza), nelle cui forme non è difficile scorgere una rilettura critica del Naiku o Santuario Interno di Ise, il più sacro tra i templi giapponesi nonché cuore dello Shinto politico. L’impostazione del Memoriale evidenzia peraltro l’approccio “paesistico” di Tange, espresso attraverso la raffinata veduta a volo d’uccello mediante la quale il complesso stabilisce una corrispondenza biunivoca tra forma del territorio e forma dell’architettura.

3) Ricostruzione modellistica della proposta di Tange per il Monumento alla Sfera di Co-prosperità della Grande Asia Orientale (1942) esposto all’interno della mostra “Autoritratto dell’Architettura giapponese” tenutasi nel 2019 presso il Museo della Prefettura di Kagawa.

Accanto ai grandi concorsi, quasi negli stessi anni Tange lavora su una compagine di progetti più piccoli, come la Kasama House (firmata da Maekawa ma progettata da Tange, purtroppo demolita nel 2018) e il Kishi Memorial Gymnasium, quest’ultimo caratterizzato dall’interessante soluzione della facciata bipartita, che arretra per formare un vestibolo illuminato da finestre-shoji.

4) La proposta vincitrice di Tange per il Centro Culturale giapponese a Bangkok, 1943. Fonte: Shin Kenchiku, n. 9, gennaio 1944.

Nel successivo concorso per il Centro Culturale giapponese a Bangkok, del 1943, Tange si confronta con un’altra tipologia tradizionale, quella dello shinden-zukuri, per cercare in essa le invarianti del pensiero architettonico giapponese. Se il Memoriale del Dai tōa era stata per il Maestro l’occasione per indagare il tema dell’archetipo (rappresentato dall’ Hakkō ichiu, il grande tetto che racchiude e unifica) declinandolo in chiave infrastrutturale, nel Centro Culturale Tange analizza la composizione “per recinti” dando prova di saper proiettare la tradizione nella modernità e la modernità nella tradizione, un’esperienza che gli sarà utile nel primo vero banco di prova del dopoguerra, il progetto del Centro per la Pace di Hiroshima, che gli varrà l’unanime riconoscimento mondiale.

5) Manifesto delle previste e mai tenutesi Olimpiadi di Tokyo del 1940 pubblicato dal quadrimestrale in lingua inglese “Travel in Japan”. N.3, Vol II, 1936

I progetti tanghiani d’anteguerra qui descritti affermano la centralità del periodo coloniale nella parabola del Maestro e, soprattutto, evidenziano come tale stagione contenga al suo interno le complessità e le ambiguità del problema identitario, che ha definito il rapporto tra colonizzatore e colonia e che è spesso alla base di larga parte dell’architettura moderna. La necessità di proiettare i linguaggi del paese d’origine sulle nazioni conquistate, valorizzandone al contempo le specificità (senza troppo cedere in termini di autonomia) è in tal senso alla base di una tra le più imponenti sfide culturali del secolo scorso, i cui esiti hanno spesso costituito –in una sorta di contrappasso– il substrato per i linguaggi sviluppati dalle nuove nazioni venutesi a creare con la decolonizzazione.

6) Pianura mancese. Fonte: http://manchukuostamps.com/

Dal seminale quanto drammatico periodo coloniale prenderà forma la grande stagione dell’architettura del dopoguerra in Giappone, dominata da Tange e dai suoi discepoli di Metabolism che, con l’Expo di Osaka del 1970 sancirà il ritorno del Sol Levante –in pieno cammino democratico– nel consesso delle potenze mondiali.

7) L’Hiroshima Peace Memorial Complex e, sulla sinistra, l’East Building, fino al 1994 chiamato Memorial Hall. Foto di Marco Falsetti, 2013.

Marco Falsetti

Architetto e Dottore di ricerca, Sapienza Università di Roma

Su Kenzō Tange, Marco Falsetti ha scritto:

– Kenzō Tange. Gli anni della rivoluzione formale 1940/1970 (con Giusi Ciotoli), FrancoAngeli, Milano 2021

Hsinking: l’utopia modernista della Grande Asia Orientale, in “EdA Esempi di Architettura” n°4/2017, vol 1

Nuova Sede Bmw di Kenzō Tange, in M.Biraghi, A.Granato. L’architettura di Milano. La città scritta dagli architetti dal dopoguerra a oggi, Hoepli, Milano,2021.

[Immagini a scopo didattico dal libro: Kenzō Tange. Gli anni della rivoluzione formale 1940/1970, di Giusi Ciotoli e Marco Falsetti, Franco Angeli, Milano 2021 – Per gentile concessione di Marco Falsetti]

Nell’immagine di copertina: Kenzo Tange – Memorial Hall, Hiroshima, Giappone

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