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Architettura
10 Ottobre 2020

Spam Opening. Al via la seconda edizione del Festival di Architettura di Roma. Le proposte degli studi romani per il futuro della città

di Redazione OAR

Di cosa hanno bisogno, oggi, le città e le persone che le abitano? Sarà questo il filo conduttore della seconda edizione di Spam, la Settimana del progetto di architettura nel mondo, il festival promosso dall’Ordine degli Architetti di Roma che ha appena aperto i battenti: ieri, 9 ottobre, alla Casa dell’Architettura, c’è stato l’opening, con la presentazione del programma – le sette giornate tematiche, fino al 16 ottobre, suddivise in sessioni mattutine e pomeridiane (qui il programma: LINK) – e la partecipazione di numerosi ospiti.

A concentrarsi sui «needs» – i bisogni delle città che danno il titolo all’edizione 2020 del Festival – ma con un taglio specifico dedicato alla realtà di Roma, è stata la tavola rotonda che ha coinvolto diversi studi romani attivi sul territorio cittadino e non solo. Uno scambio di riflessioni che ha dato idealmente il via al dibattito che caratterizzerà l’intera manifestazione, spaziando dalla dimensione più strettamente cittadina – a partire dai workshop di SpamLab mirati a produrre proposte concrete per il quartiere EUR – a quella globale, con la partecipazione di realtà internazionali.

Le rapide trasformazioni in atto nei tessuti urbani – anche in connessione all’attuale periodo di emergenza legato alla pandemia da Covid19 – stanno cambiando lo scenario su cui ragionare anche in termini di sviluppo delle città. A inquadrare la situazione da questo punto di vista è stata Federica Caccavale – Aka Project – osservando come «spesso si pensi alle città italiane come entità immutabili: in realtà – sottolinea – in pochi mesi ci siamo ritrovati tutti a vivere e muoverci diversamente. Ci sono interi quartieri che hanno cambiato la loro vocazione. Si guardi anche all’estero: Londra sta vivendo un ‘dramma urbanistico’ con i quartieri monofunzionali della città degli affari che si stanno completamente svuotando. Si tratta di fenomeni di trasformazione velocissimi. Pensavamo che il mondo si muovesse lentamente, che il telelavoro – ad esempio – fosse una potenzialità che non si realizzasse mai. Invece i sistemi possono perdere delle qualità e guadagnarne altre con una incredibile rapidità». Ci troviamo in una fase, prosegue la progettista, «in cui teoricamente ci sono grandi possibilità di cambiamento: di modificare tutto il nostro sistema di vita e produzione. Però bisogna comprendere che tali cambiamenti vanno guidati, governati, condivisi a tutti i livelli. E che vanno maneggiati con attenzione perché non offrono garanzie automatiche: per quanto riguarda le persone più fragili, ad esempio, o sul fronte della qualità delle città».

Un tema sui cui puntare secondo Susanna Tradati – Nemesi Studio – è «il desiderio di città: lo abbiamo sentito durante il lockdown. Della città non solo come luogo fisico ma anche nel senso dil civitas». Il desiderio – puntualizza – «di ricostruire quella sensazione di appartenere a un luogo è, a mio parere, uno dei punti di ripartenza più importanti e che richiede una grande collaborazione tra figure diverse. E rappresenta, forse, anche una delle ‘accelerazioni’ che questo momento ci sta consentendo di fare, attivando dialogo e confronto anche tra competenze diverse. Riunire persone che afferiscono a sfere differenti tra loro, di cui gli architetti sono parte interessante, a ragionare sulla città e a costruire visioni per il futuro. Questo sarebbe un ottimo punto di partenza».

Stringendo l’obiettivo sulle strategie specifiche per Roma, è Guendalina Salimei – T-Studio – a tracciare punti di riferimento per la riflessione «su una città che ha un rilievo mondiale e che in quest’ottica deve essere trattata». Una delle grandi potenzialità della Capitale, innanzitutto, è il fatto di «avere una campagna, aree verdi e agricole, all’interno del proprio tessuto urbano, che rappresentano una vera occasione. Poi c’è il tema dell’accoglienza, «che ha sempre caratterizzato la storia di Roma: la capacità di accogliere tutti è una grande opportunità». E, ancora, c’è «l’immenso patrimonio pubblico, fatto di grandi condensatori sociali, che offre la possibilità di ripensare l’abitare sperimentando nuove soluzioni e a a cui si possono agganciare anche i privati  per rigenerare aree, anche periferiche, della città». Infine, ma non per ultima, «la necessità di recuperare il rapporto con il mare: una fortuna per Roma, ma mai abbastanza considerata».

Secondo Susanna Ferrini – N! Studio – «Roma ha bisogno di recuperare il suo aspetto paesaggistico in connessione al tema della domesticità». Tra le cose che funzionano – sottolinea – «c’è il sistema delle grandi figure monumentali, degli spazi culturali e museali, con una rete culturale fortissima». All’opposto, invece, «a restare sempre ai margini è il paesaggio, al di là delle immagini da cartolina del parco degli Acquedotti e del parco dell’Appia Antica. La dimensione di Roma come parco agricolo non esiste: i grandi spazi che si incuneano nella città restano completamente invisibili. A volte vengono inclusi nella rigenerazione dei quartieri, però rimangono una enorme potenzialità non sfruttata. Tutto questo si lega al tema della domesticità, al senso di rigenerazione dell’abitare a Roma, che è un tessuto inespresso per la città, che si lascia vivere ed invecchiare».

Si riallaccia alla riflessione sul paesaggio, ponendolo in connessione diretta con gli interventi intrapresi sul territorio capitolino, il ragionamento di Fabrizio Capolei – Capolei Cavalli Architetti Associati. «Pensiamo alla Bufalotta, grande pianificazione urbana di Roma: si è pensato a tutto tranne che ad aree verdi, che restano spazi di risulta e non hanno alcuna connotazione paesaggistica». In genere – continua – «quando si fanno lottizzazioni, interventi di rigenerazione, occorre poi realizzare i servizi legati ad opere di urbanizzazione, come scuole, asili, parchi. Questo aspetto invece non è gestito, non è considerato, non è oggetto di concorso: a differenza di altri Paesi, a Roma subiamo un’architettura povera, quando invece l’architetto si potrebbe esprimere liberamente proponendo qualcosa di contemporaneo, utile, socialmente valido. A questo scenario si aggiunge la burocrazia», che immobilizza la città.

«Roma in questo momento ha una grandissima occasione, perché viene guardata, sopratutto dall’estero, con occhi diversi: quello che spesso abbiamo considerato un difetto della città, la sua bassa densità, la difficoltà di creare infrastrutture, oggi diventa un valore». A dirlo è stato Paolo Mezzalama – It’s –  che aggiunge: «Credo che Roma abbia bisogno, in questo momento, di una visione che sia comunicabile e alla quale tutti devono collaborare. Il cambiamento avviene quando le persone si sentono parte di un progetto e credono in esso. Capisco possa apparire ambizioso, ma dobbiamo tentare di costruire una forma di nuovo umanesimo. Ripartendo dai punti di forza della Capitale: uno su tutti la valorizzazione di aree verdi e agricole della città».

Parte invece da una considerazione sul discusso articolo 10 del Dl Semplificazioni – che, come denunciato a più riprese dall’Ordine degli Architetti Di Roma, rischia di bloccare qualsiasi attività di sostituzione edilizia nelle zone A, centri storici, delle città – la riflessione di Gianluigi Giammetta – Giammetta Architects. «Non è possibile che un simile provvedimento – ha spiegato – venga difeso dalla politica dicendo che l’intervento di trasformazione e rigenerazione urbana debba provenire dalle periferie. Questa è una eresia perché la città è un organismo, come il corpo umano, che ha sua parte centrale, un cuore – che è il centro storico – dove tutti gli imprenditori vogliono investire, e poi c’è una periferia. Difendere la parte finale dell’articolo 10 dicendo che la periferia è il punto di inizio della trasformazione della città significa non conoscere le dimensioni urbane e, in particolare, la città di Roma».

Ciò che occorre è una visione ad ampio raggio da parte di chi governa i territori, mentre invece – sostiene Filippo Spaini – Spaini Architetti Associati – «si lavora giorno per giorno senza un’idea». L’architetto porta ad esempio la proposta «di un gruppo di giovani colleghi che hanno avanzato un’idea geniale che si chiama Metrovia e che prevede l’utilizzo delle reti ferroviarie regionali e merci, con un investimento di 10 miliardi di euro in vent’anni, per fare otto linee metropolitane in sedimi esistenti, senza espropri e con costi decisamente più ridotti rispetto a progetti che abbiamo sempre visto. Una proposta, però, che non è stata neanche presa in considerazione. A Roma, innanzitutto, occorre una visione per il futuro».

A chiudere il cerchio delle riflessioni, guardando alla «qualità della vita di chi abita la Capitale», ma anche al ruolo degli architetti romani, è Simone Capra – Startt –, indicando una serie di ragionamenti di cui riprendere il filo, «come il rapporto tra residenzialità, mobilità, lavoro, ambiente. Roma è una città ‘continua’ in cui la villa, il parco pubblico, la città rinascimentale, il villino, sono un continuum con la piazza, lo spazio delle vie e il tessuto urbano, che non fa distinzione tra architettura del paesaggio, delle infrastrutture, della casa. Una delle grandi risorse degli architetti romani è stata quella di pensare la città in questo continuum. Negli ultimi vent’anni si è invece iniziato a pensare edifici in assonometria e paesaggi in pianta, perdendo la visione sistemica. Questo è un tema da riprendere insieme, come architetti, lavorando per costruire un sistema complesso di competenze condivise».

Rivedi le giornate di Spam Needs sul sito OAR: LINK

(FN) 

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