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13 Ottobre 2019

Natura Urbana: molto di più di un greenwashing

Seconda giornata SPAM all’insegna della Natura Urbana, un tema, almeno apparentemente, con una contraddizione interna. Può la natura divenire linguaggio di costruzione delle nostre città? Come ciò che è inaspettato, incontrollabile, spontaneo può essere declinato nel ragionamento progettuale, quindi nel pensiero razionale, atteso e prevedibile?

“In Olanda l’approccio verso la natura include necessariamente la mano dell’uomo. Da sempre cerchiamo di strappare territorio all’acqua – racconta Anne H. P. Bell dello studio olandese ZUS [Zones Urbaines Sensibles] – di controllare e prevedere ciò che è spontaneo per poter in qualche modo costruire la nostra idea di architettura”. Una razionalizzazione ed uno studio profondo dei fenomeni fisici e ambientali che divengono quindi presupposto per la progettazione.

Più ampia la prospettiva di Henri Bava dello studio francese Agence Ter che legge nell’elemento verde la possibilità di diffondere un sistema culturale: “Dobbiamo concentrare lavori interscalari in piccoli luoghi per dare vita ad atteggiamenti lungimiranti ed opportunità strategiche”. Concorda Annacaterina Piras, architetto impegnato nella rigenerazione di molte aree della Sardegna: “Il paesaggio naturale non esiste di per sé, ma piuttosto dobbiamo parlare di un paesaggio culturale, risultato di un’azione antropica”.

Questo il dialogo aperto sulla base delle esperienze interazionali. Volendo invece parlare di Roma? Anne H. P. Bell legge nella Capitale una stratigrafia della natura, che va di pari passo con quella storica. “Camminando per la città, trovi delle voragini inaspettate in cui puoi leggere e comprendere gli strati che si sono susseguiti nei secoli”, commenta. Trova anche una similitudine tra Roma e Rotterdam, che sostiene  essere stata costruita per le macchine e gli uffici invece che per le persone. Ed a proposito di #DreamCity? Tutti concordi su una Roma che dovrebbe sognare le greenway. Corridoi verdi di collegamento tra i polmoni vegetali della Capitale per mettere a sistema un patrimonio che nessun paese al mondo ha.  “Qui tutto è più difficile. I romani vivono in uno spazio temporale che dura secoli” questo l’impedimento maggiore per un’architettura di qualità secondo Stefano Tagliacarne di Atelier Verticale, architetto iscritto all’Ordine di Roma con esperienza internazionale e ora local architect dello studio BIG. Per invertire una tendenza verso l’apatia, si dovrebbe dare vita ad una forza collettiva in cui ogni impulso individuale lavora per una vivibilità più tangibile.

“Purché la natura non sia lo scudo dietro cui i progettisti si nascondono per rendere meno dolorosa la pillola del costruito – spiega Annalisa Metta – in un’opinione diffusa secondo cui la natura è salvifica, ci rassicura, è convergente ed inter religiosa, si rischia di appiattire qualcosa che invece è spontaneo, incerto e stupefacente – continua Metta – non basta spalmare una nuance smeraldina sui nostri skyline”. Da qui ripartono Spam e le sue visioni: natura urbana è molto di più.  (GV)

Redazione OAR

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