Gaetano Antonucci si iscrisse all’Ordine nel ‘52; e dopo poco più di dieci anni le esperienze fatte lo portarono a confluire tra i disponibili a impegnarsi nelle battaglie dell’ Ordine per Ia professione. Altri venti anni dopo, aveva fatto tre bienni di Consiglio, di cui uno di direzione di AR. Ma già a fine anni 60 ebbe a rappresentare l’Ordine in commissioni consultive istituite da enti diversi e occupantisi di disciplina dell’edilizia. In esse Si battè per l’introduzione, nelle procedure amministrative, di principi autenticamente democratici (“per dirne una: é corretto che le commissioni edilizie siano presiedute dalle stesse autorità che ne sollecitano i pareri? II regolamento edilizio di Venezia già allora rispondeva negativamente a questa domanda…”) e in particolare di un principio di trasparenza preliminare a tutto campo e che egli paragonò a quella che, per gli antichi romani, era stata… Ia famosa legge delle dodici tavole. Principio che dice di veder sostanzialmente riemergere ora, ma dopo ben un trentennio, con Ia nuova denominazione di “sportello unico per l’ edilizia”. Allora quel principio lo recepì l’ INARCH, inserendolo in una “Proposta di D.M.” formulata dall’ Antonucci e dall’ ing. Ennio Borzi. Di questi argomenti Si occuparono AR (dedicandogli I’intero supplemento al n. 69/1) e Rassegna del lavori pubblici (n. 69/6). Ma tutto finì lì.
Anche dei problemi interni alla categoria degli architetti, Antonucci Si è occupato attivamente, in particolare nei due congressi nazionali di Verona (1980) e di Roma (1982).
Essendo un architetto docente, Antonucci si occupò presto anche del settore scuola secondaria, tentando di lanciarvi l’ idea di una educazione alla sensibilità verso I’ ambiente costruito; che chiamò “educazione urbanistica”. Fu un parlare completamente al vento. Qualcos’altro, per fortuna, andò subito meglio: fu una battaglia vinta quella che, in una commissione consultiva istituita dal ministero della P.I., Antonucci (sempre in rappresentanza dell’ Ordine e nel 1969) sostenne per salvare ai laureati in architettura Ia contestata legittimità di accesso ad alcuni insegnamenti di disegno tecnico negli istituti tecnici industriali. Era in ballo, con l’immagine dell’ architetto, uno sbocco occupazionale per molti architetti. Ma, cinque anni dopo, un disegno di legge mise a rischio addirittura Ia compatibilità legale tra insegnamento e libere professioni di architetto e di ingegnere. Ne venne fuori un’altra battaglia, in cui Antonucci tornò ad impegnarsi in prima linea. Quella compatibilità rimase. insomma, una battaglia dietro I’ altra. “Ma tutte per una politica della categoria. Mai fatto quella del partiti. Certo, così ho conosciuto meno gente. . .Ma questo è un altro discorso.”
Veniamo all’attività professionale. Antonucci Ia racconta cosi.
“L’ ho svolta in forma autonoma. Mi sono occupato di edilizia residenziale (popolare e di civile abitazione) a Roma e in alcuni comuni in Abruzzo. Ne ho progettata anche per altre regioni, ma in collaborazioni varie. Per Ia rimanente edilizia, ho lavorato o collaborato a realizzarne nei settori del turismo, dell’istruzione, del culto. Non sono mancati allestimenti di interni,, villette e, in urbanistica (negli anni 80), qualche piccolo piano particolareggiato. Tra le cose un po’ singolari, ricordo anche che da giovane disegnai pezzo per pezzo (con Ia collaborazione di un tecnico) un mini teatro tenda smontabile e itinerante; o anche che, in seguito, mi sono ripetutamente preso lo svago di disegnare lumi di fogge inusuali (in parte realizzati). Per II resto, lavori di recupero e ristrutturazione. E routine spicciola. Qualche studio monografico (cito quello sull’impatto paesistico del già progettato ponte sullo Stretto di Messina, pubblicato da “L’ lngegnere”, nov. 1971), e le solite consulenze tecniche (in età matura) e le partecipazioni a concorsi (in età giovanile).”
Commenti, soddisfazioni, insoddisfazioni (“pesante quella di sapere le proprie opere alterate da interventi altrui”), autocritiche? Ci sarebbe un po’ di tutto. Ma — conclude Antonucci — “è acqua passata. Meglio voltare pagina e chiudere con un grazie a chi ha avuto Ia cortesia di ideare e realizzare questa pubblicazione”.
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