50 ANNI DI PROFESSIONE

Boni Benito
Boni Benito

Benito Boni nasce a mezzanotte, per l’esattezza alle 0,10 di Capodanno del 1933, in via Volta n. 1 a Como la città che, gli fa piacere ricordare, ha dato i natali anche ad Antonio Sant’Elia e a Giuseppe Terragni.
Nel settembre del ’47 dal Veneto arriva a Roma, dove completa gli studi liceali nello storico e centrale liceo scientifico Augusto Righi di via Boncompagni. Correvano gli ultimi anni ’40, i primi del dopoguerra. Anni vissuti con scarse, se non nulle, risorse finanziarie e altrettante nulle possibilità di distrazione e divertimento tranne quella che si presentava, agli studenti della sezione B del su citato liceo, come l’unica e irripetibile occasione: impadronirsi della grande città in cui vivevano, costellata di infinite cose meritevoli di essere visitate e conosciute e, tra l’altro, in una città ancora percorribile e accogliente come lo era Roma a quei tempi.
Difficile ricordare quante chiese, palazzi, musei, gallerie, catacombe e altro abbiano visitato e quante decine e decine di chilometri abbiano percorso a piedi durante la loro abituale passeggiata attraverso Roma da corso Trieste al Gianicolo. Con queste visitazioni per lo più settimanali i voti in Disegno e Storia dell’Arte andavano lievitando con grande meraviglia del severo professore di disegno.
Fu proprio lui che, a seguito del 9 (nove) riportato nella sua materia, suggerì al padre di far iscrivere Boni ad Architettura.

Conquistata la maturità entra, nei primi di novembre del ’51, nella Facoltà di Architettura di Roma. Allora ne esisteva una soltanto. Entra per modo di dire dato che, a seguito delle indicazioni non proprio precise che gli avevano fornito, tenta invano di superare il cancelletto di legno di quello che invece era l’Istituto di Cultura Austriaco. Sempre a Valle Giulia e, guarda caso, anch’esso una specie di grossa villa di colore rosso: proprio come gli avevano descritto la Facoltà.

In quell’anno le iscrizioni sono 250. Di molti di loro l’architetto ricorda ancora i nomi e spera che molti di loro possano ancora ricordarsi del suo. A Valle Giulia le lezioni e le esercitazioni in aula o in esterni, si tengono tutti i giorni, mattina e pomeriggio, compreso il sabato mattina che di solito è riservato alla visita dei quartieri e dei cantieri INA. Come se non bastasse la domenica è spesso dedicata alla visita di monumenti significativi all’interno e fuori della città. Praticamente si viveva assieme buona parte della giornata e negli interminabili scambi di idee gli argomenti riguardano, prevalentemente, le opere degli allora viventi Maestri dell’Architettura Moderna (non archistar per carità!): Wright, Le Corbusier, Mies e Gropius ed Aalto che più tardi avrebbe conosciuto personalmente, incontrando Gropius nello Studio T.A.C. di Harvard e Aalto nel suo favoloso studio immerso tra le betulle nelle vicinanze di Helsinki.
Su gli anni trascorsi a Valle Giulia l’architetto ricorda una infinità di storie, aneddoti divertenti e di trucchi, se vogliamo innocenti, tutti finalizzati a superare gli esami con un po’ meno difficoltà. Non mancano, inoltre, le invenzioni per migliorare l’appeal gli elaborati grafici.
Una scoperta che gode di indubbia popolarità è quella che incollando sui lucidi (sui quali si disegnava a quei tempi alternandoli alla carta schedario, alla carta burro e a quella cipolla) altri lucidi di diversa grammatura, si potesse ottenere in seguito, con la riproduzione cianografica, un’ampia gamma di tonalità di grigio o di un raffinato viola melanzana se si fosse andati dal cianografo all’inizio del suo lavoro, quando la macchina per lo sviluppo cominciava appena a riscaldarsi.
Ognuno, in seguito, fa a gara per proporre una sua propria invenzione contribuendo, così, all’evoluzione della tecnica allora recentemente introdotta.
Sulla indimenticabile stagione in quella Scuola è come se, negli studios della memoria, l’architetto avesse girato un film, riservandosi il ruolo di narratore, con il cast composto da tutti i docenti di allora, gli assistenti, i bidelli, le signore della segreteria studenti alla città universitaria e tanti, tanti – tutti – i miei compagni di corso.
Location: una specie di grossa villa di colore rosso pressappoco dirimpetto all’Istituto di Cultura Austriaco.
“Come era verde la mia valle (Giulia)” è il titolo che, anche se non proprio originale, ben si addice ai luoghi, all’epoca della story ed all’età dei partecipanti più numerosi. Questa è la pellicola che, in visione privata e da unico spettatore, l’architetto rivede sempre con immutato piacere. E con lo stesso piacere ricorda di essere stato allievo di Saverio Muratori, di Pier Luigi Nervi e di un allora giovane assistente del prof. Marino: Alfredo Lambertucci.

Si laurea il 30 luglio del ’59. Ad ottobre dello stesso anno inizia la sua attività didattica. Dapprima nella Facoltà di Valle Giulia come assistente volontario alle Cattedre di Architettura degli Interni I e II proseguita, nel ’64, alla cattedra di Disegno II per Industriali nella Facoltà di Ingegneria. Nel 1965, a 32 anni, è nominato professore incaricato di Disegno nella Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali sempre dello Studium Urbis. Nel 1977 è chiamato dalla Facoltà di Architettura di Pescara dove, come professore stabilizzato e in seguito di ruolo, insegna nel corso degli anni Composizione Architettonica II e III oltre a varie materie dell’area della Rappresentazione: per ultimo Disegno dell’Architettura. A novembre del 2004, dopo 44 anni, conclude, la carriera accademica.

Nel corso della professione la partecipazione a concorsi in Italia e all’Estero, e in alcuni casi la vincita, gli permette di operare (come desiderava) quasi esclusivamente su committenza pubblica o di grandi aziende e di affrontare, quindi, temi che altrimenti difficilmente avrebbe potuto sviluppare. Tra le committenze che ritiene più importanti sono da annoverare: l’ACEA (Azienda Comunale Energia e Ambiente di Roma), l’ALENIA Difesa, l’ALENIA Sistemi Civili, l’ALENIA Aeritalia e SELENIA, le Assicurazioni d’Italia del Gruppo INA, l’Azienda di Stato per i Servizi Telefonici, la Cassa di Previdenza e Assistenza Ragionieri e Periti Commerciali, il Comune di Roma (Ufficio Relazioni Internazioni, Ufficio Periferie, Ufficio Speciale Piano Regolatore), il Gruppo Lepetit, la Loyola University di Chicago (sede europea di Roma), il Ministero della Difesa e quello delle Poste e delle Telecomunicazioni, l’ENAV (Ente Nazionale Assistenza al Volo), la Carlo Gavazzi-Green Power e la Carlo Gavazzi Impianti, l’IACP (Istituto Autonomo per le Case Popolari) della Provincia di Roma, l’InArCassa (Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Ingegneri e Architetti), l’ITALCABLE, la Regione Lazio (Assessorato ai Trasporti), TELESPAZIO.
Molti dei lavori sono stati pubblicati sulle principali riviste specializzate di architettura (“Casabella”, “L’Arca”, “L’Architettura. Cronache e storia”, “L’Arredo della città”, “L’industria Italiana delle Costruzioni”, “Ottagono”, “Parametro”) e testi monografici (Caorso, dal sito alla centrale, a cura dell’Ansaldo Meccanico Nucleare, Genova 1966; Italcable: i centri operativi di Acilia, Editalia, Roma 1976; Palazzo Bonaparte a Roma, Editalia, Roma 1981; Nuovo CRAV di Ciampino-Roma, Quaderno dell’ALENIA Sistemi Civili, Roma 1998).
Ma quello a cui l’architetto tiene di più è far sapere che ha avuto la fortuna di lavorare assieme ad una compagnia di colleghi architetti, di amici/compagni di corso, di suoi ex studenti, di giovani di cui è stato relatore delle tesi di laurea, di sua moglie Maria, del figlio Sebastiano, tutti formidabili per simpatia, disponibilità, preparazione, serietà e impegno. Sempre pronti a fare ancora meglio e di più ma, soprattutto, sempre allegri e sorridenti nella buona sorte ed anche in quella così così.

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