Tra i tanti mali e difetti che attanagliano Roma, possiamo a ben guardare ritrovare dei pregi nascosti e ben occultati fra le vaste e disordinate pieghe di questa città.
Tra i meriti, che vengono ascritti e riconosciuti a Roma, una parte importante è rappresentata dalla sua dimensione di bellezza, di cultura e di città cosmopolita, come amava dire il premio Nobel Theodor Mommsen all’inizio del Novecento.
Roma è, nell’immaginario universale, legata indissolubilmente all’idea di culla della cultura occidentale, che affonda le sue profonde radici nel concetto della parola latina Humanitas, ben spiegata dallo scrittore latino Aulo Gellio.
“Eruditio et institutio in bonas artes” scrive Gellio, e definisce in buona sostanza chi è stato istruito ed educato nelle bonae artes. Ma ancora meglio, argomenta Gellio, è colui che è attratto da queste arti e rientra quindi a pieno titolo nella natura di humanus o della humanitas, ovvero la capacità di apprezzare, valutare e ricevere le arti.
A ben guardare, il senso profondo di questa humanitas è che non rimanga confinata ad uno sfoggio erudito fine a sé stesso, ma che si traduca bensì nella volontà di far progredire l’uomo e possa servire a reinterpretare e migliorare la propria vita; tipica peculiarità che distingue l’uomo dagli animali.
Nelle descrizioni dei suoi visitatori si colgono tracce di questa universalità, di questa humanitas, e quasi tutte le persone che sono venute o passate da Roma – che hanno avuto una formazione letteraria, artistica o intellettuale – spesso hanno detto che Roma può essere considerata come il centro di ogni attività creativa. I viaggiatori colti, sono infatti unanimemente concordi nel riconoscere l’incredibile valore, per la loro formazione, del soggiorno nella Città eterna, dove si puo passare dallo stupore alla contemplazione e dalla contemplazione alla conoscenza.
Ultimamente Semyon Mikhailovsky, apprezzato Rettore dell’Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo, ci ha detto che “solo visitando Roma potrai essere un uomo di cultura e potrai apprezzare la Bellezza”.
Questo, nel corso dei secoli, ha rappresentato Roma e continua ad essere percepibile ancora oggi. Tutto ciò lo si può avvertire in ogni angolo della Capitale e non solo nei luoghi artistici e culturali più famosi. Questa sensazione si è disvelata in maniera evidente ed è palpabile anche in questo periodo di confinamento per la pandemia da Covid-19. Credo che tutti quanti abbiamo percepito e apprezzato la potenza evocativa di questa città nelle immagini delle sue strade, delle sue piazze, delle sue fontane completamente deserte.
Ma ora che questa meravigliosa città si appresta a compiere ben 2.774 anni ed è entrata nel III millennio, forse bisognerà fare alcune considerazioni sul ruolo, sulla visione che questa Capitale dovrà svolgere nel futuro a breve, medio e lungo termine.
Proverò ad accennare una delle tante vocazioni che questa città ha in animo, rifacendomi alla parte di storia più recente, quella che vede Roma protagonista con la presa di Porta Pia nel 1870, diventando a pieno titolo Capitale d’Italia.
La Terza, la Quarta, la Quinta Roma?
I nostri predecessori avevano un’idea ben chiara ed evidente su cosa dovesse essere Roma e quale vocazione dovesse avere.
I padri fondatori del Regio Stato Italiano avevano tracciato una strada chiara e lineare, immaginavano la Terza Roma (dicitura utilizzata e portata avanti da Giuseppe Mazzini e ripresa successivamente da tantissimi altri personaggi, come ad esempio Gaetano De Sanctis, o Benito Mussolini): una città dedita alla conoscenza, alla cultura e alla scienza.
Alla sostituzione di un universalismo cattolico della città guidato dal Papa, occorreva sostituire un universalismo laico, un universalismo della scienza e dell’apprendimento, moderna espressione della nuova epoca storica.
Su questi pensieri, sia Francesco Crispi che Quintino Sella immaginavano la Roma del futuro, come faro della grande cultura europea.
Quintino Sella in particolare, per stimolare e creare una capitale culturale adeguata al paese e in linea con l’Europa, sostenne la realizzazione degli istituti di Fisica, di Fisiologia e di Chimica; supportò la costruzione del Palazzo delle Esposizioni, indirizzò ed individuò il Palazzo Corsini alla Lungara come prestigiosa sede dell’Accademia dei Lincei. Insomma dette un forte impulso verso questa visione di città.
Sulla stessa linea di pensiero si pone il sindaco Ernesto Nathan, figura centrale ed essenziale della storia moderna di Roma. Egli proseguì, tra le tante iniziative, cercando di dotare Roma con adeguati luoghi preposti alla conoscenza, alla scienza, alla cultura moderna e laica. Alcuni esempi potranno dare in modo palpabile la dimensione ampia del lavoro svolto. Ricordiamo la localizzazione e la realizzazione delle varie accademie a Valle Giulia, il relativo potenziamento degli istituti scolastici, la realizzazione dei musei come quello del Castel Sant’Angelo, o quello delle terme di Diocleziano; per finire con la Galleria d’Arte Moderna a Valle Giulia, la realizzazione di teatri, la costruzione dell’auditorium sul Mausoleo di Augusto.
All’indomani della prima guerra mondiale si pose il problema di una grande università nazionale ed internazionale di prestigio, degna di uno stato laico e moderno da realizzare a Roma. Bisognerà attendere comunque gli anni Trenta per poter vedere compiuta la città universitaria di Roma La Sapienza che, insieme all’intervento di realizzazione del quartiere EUR, rappresenta l’operazione urbanistico architettonica di più ampio ed importante respiro, modificando sensibilmente lo sviluppo della nostra città. Sia la città universitaria che il quartiere EUR, con i musei, i vari palazzi della Civiltà Romana, delle Esposizioni, si riannodavano e continuavano nella stessa direzione tracciata nei primi anni del Novecento: Roma come capitale del sapere, della cultura e della scienza. Scrive Marcello Piacentini a Vittorio Cini, a proposito della costruzione dell’EUR: “Dovremmo costruire una città universale dello spirito, un centro internazionale della cultura, del sapere (…) questi edifici del sapere distribuiti in mezzo a parchi e giardini (…) costituirebbero un quartiere di una bellezza e di un carattere straordinari”.
Metà del Novecento
Anche nella seconda metà del Novecento, Roma ha proseguito l’indirizzo di investire in luoghi della cultura, per rendere questa città sempre più cosmopolita, come avvenne nella metà degli anni Settanta con la costruzione del Centro Islamico Culturale d’Italia, con annessa la grande Moschea realizzata poi nel 1994, che probabilmente risulta essere il polo piu importante in Europa.
Di largo respiro è stata l’esperienza della consiliatura Rutelli alla fine del XX secolo, che ha dato un impulso fondamentale alla città riannodando quel filo rosso di Arianna mai interrotto che si ricollega idealmente e direttamente al sindaco Natahan. Tra le innumerevoli realizzazioni, si ricorda il nuovo Auditorium, la Teca dell’Ara Pacis con spazi espositivi convegnistici e museali, il nuovo museo MAXXI, il museo dei mercati di Traiano, le Scuderie del Vaticano, i Musei Capitolini riorganizzati e rinnovati.
In questo saggio vogliamo storicamente fermarci alla fine del Novecento, registrando una Roma con una larga vocazione per quelle linee fondamentali di crescita: cultura, scienza, studio e ricerca.
Una tradizione culturale ormai ben consolidata nella nostra tradizione romana che rappresenta solo uno dei tanti filoni che ha questa città e che deve sfruttare per i prossimi decenni del XXI secolo, sviluppando, realizzando e recuperando luoghi per la cultura dello spirito.
Un potenziale di grande importanza e rilevanza, un volano decisivo per l’economia di questa città che già poggia su solida roccia; come ci racconta bene il termine cultura, che deriva dal latino colere, cioè coltivare, o attendere con cura alla coltivazione di un terreno.
Ma se noi riferiamo questo termine all’esperienza di un uomo, il significato cambia ed esprime la cura assidua e necessaria per ottenere un’istruzione al fine di migliorare la propria esistenza, quindi una cura ed un impegno pari a quella dell’agricoltore, affinchè le piante fioriscano e producano frutti.
Noi ora abbiamo bisogno di questo, di un’attenta e paziente ricerca per far sbocciare nuovamente le tante vocazioni di questa città.
Tutto ciò è possibile farlo dedicandosi con impegno quotidiano e con una visione consapevole della nostra storia recente e lontana.
Risulta pertanto essenziale una rielaborazione, un ripensamento affichè questo processo si converta in un miglioramento spirituale, morale, estetico.
Roma ha necessità, per la sua storia, di incrementare i luoghi della conoscenza, in perfetta linea con la sua vocazione di città europea.
E come sostiene Mario Botta anche in una intervista pubblicata su questo numero di AR Magazine, Roma è l’archetipo della citta complessa, stratificata, una città sia mediterranea che europea. Essa stessa diviene memoria del sapere, come viva e grande biblioteca all’aperto.
Roma ospita tre università pubbliche, tra le più rilevanti; ricordiamo La Sapienza, il più grande ateneo d’Europa, Tor Vergata, Roma Tre. Oltre a queste hanno sede altre 44 tra università e scuole; e ci sono numerose, prestigiose accademie internazionali e nazionali, musei, luoghi per la musica, l’Auditorium e altre sale con varie vocazioni culturali, e potrei continuare. Tutto ciò va messo a sistema per conservare, migliorare ed utilizzare i luoghi già esistenti, ma diventa necessario pensarne altri dislocati fuori dal centro nelle diverse periferie; c’è bisogno di architetti e della loro progettualità, che sappiano immaginare nuovi luoghi dove le persone possano trarre piacere e beneficio per lo studio e per lo spirito. Oggi più che mai c’è bisogno di largo respiro e di una visione ampia, come Roma merita e impone.
Luca Ribichini
Architetto
Presidente Comitato cultura Casa dell’Architettura di Roma
Vicepreside Facoltà di Architettura, Sapienza Università di Roma
(Articolo pubblicato su AR Magazine 123/124 – Marzo/Aprile 2021 – “Abitare Roma capitale. Storia e visioni dal 1871 al prossimo futuro”)