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28 Aprile 2021

Il recupero del moderno: due esempi di architetture romane – di Carlo Ragaglini

L’attualità dei nostri tempi deve necessariamente confrontarsi con l’eredità che le architetture realizzate nell’immediato dopoguerra, fino agli anni ’60, hanno a noi lasciato. Si tratta di un lascito molto grande che è nostro dovere catalogare, selezionare, curare e restaurare, e per farlo occorre una sapienza progettuale che deve però essere frutto del nostro tempo.

La città di Roma, urbanisticamente parlando, vede nel costruito realizzato tra gli anni compresi tra il 1945 ed il 1980 la grande maggioranza del suo patrimonio edificato.

Questo lascito ha prodotto nel corso degli anni, da parte della critica architettonica, diversi interrogativi sulla effettiva qualità di questo patrimonio edilizio realizzato in decenni di costruzione forsennata, in anni in cui sembrava non avere mai fine una sorta di “fame edilizia”.

Nella grande quantità di questi vani realizzati, di palazzine e di intensivi sparsi a macchia d’olio intorno al centro storico, oggi la sfida è riuscire a recensire e apprezzare quanto fatto con ingegno da, forse pochi, ma valenti progettisti che, nel marasma fatto di freddi regolamenti e norme di “cubature assentibili”, hanno prodotto opere che devono essere oggetto di indagine, menzione e di recupero.

Il panorama edilizio romano del dopoguerra è stato indubbiamente omologato da una tipologia edilizia preponderante nel tessuto delle zone di completamento della città, ovvero la “palazzina”: un tipo edilizio a metà tra un villino (tipologia molto presente nella Roma unitaria di fine Ottocento) ed un fabbricato a tipologia più intensiva.

Manfredo Tafuri definì la palazzina adeguata a “vellicare le ambizioni condominiali di una classe sostanzialmente statica”, riferendosi nella sua Storia dell’Architettura Italiana ai lavori di Amedeo Luccichenti e Vincenzo Monaco, sicuramente tra i progettisti che più si sono cimentati in questa tipologia con esiti degni di nota, ultimamente oggetto di una monografia edita da Electa e redatta dall’architetto prof. Paolo Melis.

Ma il panorama architettonico di quegli anni fu costellato da tanti altri progettisti come Ugo Luccichenti (fratello di Amedeo), autore di complessi edilizi come il Belsito in Piazzale delle Medaglie D’Oro; ma anche figure più nascoste come Venturino Ventura, Angelo Di Castro, altre di livello anche internazionale come Luigi Moretti, etc.

Questi edifici, realizzati tutti tra l’immediato dopoguerra e gli anni Sessanta, oggi hanno una vetustà di oltre mezzo secolo alle spalle.

Questo lungo lasso temporale fa sì che le caratteristiche tecniche ed edilizie realizzative dell’epoca oggi siano state largamente modificate, in molti casi superate. I componenti che vennero impiegati (a cominciare da complementi come infissi e portoni) oggi sono in larga parte sostituiti, come anche i colori a calce e tempera tipici degli anni ‘50, con delle particolari cromie ma oggi non più in produzione a livello industriale.

In molti casi approcciarsi al restauro di questo patrimonio impone scelte non semplici e che devono essere ponderate coscienziosamente dai progettisti. Un caso che ritengo simbolo sono gli edifici di Ugo Luccichenti, dove il progettista realizzava tout court tutti i singoli dettagli, compresi gli infissi fatti “sartorialmente” per la singola opera. Tali elementi, oggi, nella loro fase di restauro, dovrebbero essere analizzati con un approccio che sia sempre di tipo progettuale, l’unico in grado di poter coniugare le moderne tecnologie ma al contempo cercando di essere rispettosi del contesto dell’opera.

Alcuni progettisti hanno compreso questo e, nel panorama romano, è doveroso segnalare due casi di restauro che sono stati attenti al valore dell’opera.

Il primo è il restauro eseguito dall’architetto Marco Biuzzi nel 2014 della Palazzina della cooperativa La Quercia, opera prima dell’architetto Vassili Silvio Biuzzi, realizzata nel 1954 in via dei Gozzadini, all’interno del quartiere di Gregorio VII, oggetto di visite durante gli scorsi Open House svolti nella Capitale e definita “un’interessante espressione di una ricerca innovativa tra astrazione e matericità”.

Degradata dopo oltre 50 anni, il restauro ha ripreso le cromie originarie del progetto al fine di ridare l’immagine originaria dell’edificio, aderente ad alcuni stilemi tipici del periodo. Il lavoro eseguito dall’architetto Biuzzi ha potuto ridare oggi all’edificio nuova vita, potendo mettere in risalto le qualità architettoniche dell’involucro, caratterizzato da una scala in facciata con grande vetrata e gli appartamenti dotati di ampia esposizione intorno ad essa. Lo studio del colore ha interessato sia le parti esterne, come il vano scale interno. I lavori sono stati eseguiti dalla Ditta Edile Bonura S.r.l. di Aprilia; il supporto tecnico per la realizzazione dei nuovi intonaci con prodotti ai silicati affidato alla Casa produttrice tedesca Keim Farben (www.keim.com), già attiva nel campo dell’architettura moderna come partner della fondazione Le Corbusier per il recupero delle opere del maestro.

Vassili Silvio Biuzzi. La Palazzina della cooperativa La Quercia dopo i lavori di restauro eseguiti dall’architetto Marco Biuzzi
parete esterna
Il vano scala interno con il pilastro scultoreo reggente la mensola della scala.

Fonte: Docomomo Italia Onlus (www.docomomoitalia.it)    

La seconda esperienza che vale segnalare è il recupero della Villa La Saracena, opera pregevole del grande architetto Luigi Moretti, realizzata nel 1957 per conto della principessa Luciana Pignatelli D’Aragona, ma lasciata in stato di degrado per lunghi anni tanto che ne era stata compromessa la sua originaria immagine architettonica. È stata recuperata nel corso di restauri eseguiti dall’architetto Paolo Verdeschi, dove sono state ricostruite intere parti dell’edificio che erano andate perdute, questo grazie all’ausilio delle immagini d’epoca e ad una riprogettazione di intere parti andate distrutte, come la pensilina a sbalzo sulla facciata a mare, realizzata nuovamente in legno e cavi d’acciaio. Particolare attenzione si è posta per la realizzazione degli intonaci, realizzati originariamente attraverso “una complessa tecnica di sbruffatura, realizzata con una miscela di polvere di marmo, cemento bianco e grassello, applicata con scopa di saggina dalla mano di un unico artigiano” (intervista all’architetto Verdeschi su Domusweb).

Luigi Moretti. Villa detta “La Saracena” dopo i lavori di restauro eseguiti dall’architetto Paolo Verdeschi.

La veletta esterna ed infisso sul giardino realizzati nuovamente.
Dettaglio degli intonaci ristrutturati
Interno della sala con la vetrata al mare sullo sfondo.
Immagine complessiva della villa dal giardino.

Alcune opere sono state rifatte ex novo, come il cancello alla grotta a mare, realizzato dall’architetto Costanza Magli, in sostituzione dell’originale dell’artista americana Claire Falkenstein, oggi non più ripristinabile.

Il risultato finale ha permesso anche in questo caso di riportare alla luce un capolavoro del passato attraverso una sapiente opera di riprogettazione del passato.

Palazzina della cooperativa La Quercia, di Vassili Silvio Biuzzi; Villa La Saracena, di Luigi Moretti

Foto: Il Contrafforte (www.ilcontrafforte.com) e Carlo Ragaglini

Carlo Ragaglini

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