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Architettura
10 Giugno 2020

Boeri e De Masi: dialogo sulle città post Covid19. «Un progetto nazionale per Roma»

di Redazione OAR

Prendere atto di un ciclo di vita modificato, con il cambiamento radicale del rapporto tra residenzialità e spazi di lavoro. Sfruttare al massimo – e in modo organico – la ricomposizione della dimensione urbana resa possibile dallo smart working. Ripensare le città in base ad alcuni elementi fondamentali: sostenibilità ambientale – dalla qualità dell’aria alla forestazione urbana -, mobilità leggera, riscoperta dei quartieri, prossimità dei servizi al cittadino. Rivalutare il sistema dei borghi presente sul territorio italiano. E, infine, investire su Roma e sulle sue potenzialità nella cornice di un progetto nazionale condiviso.

Lo scenario post Covid19 impone una consapevolezza diversa e un altro punto di vista rispetto a tanti temi cruciali per lo sviluppo delle città e della vita urbana. Una riflessione approfondita sull’accelerazione dei cambiamenti in corso prodotta dall’emergenza sanitaria.

Ad offrire chiavi di lettura in quest’ottica sono stati Stefano Boeri e Domenico De Masi, protagonisti del primo appuntamento con «Ascoltare l’Architettura», ciclo di incontri organizzato dall’OAR con l’obiettivo di attivare il dialogo e confrontare le voci di studiosi e architetti di chiara fama, cercando  di comprendere meglio il significato del costruire e dell’architettura come  disciplina essenziale nel proporre visioni e soluzioni, anche nella fase attuale.

L’evento, trasmesso l’8 giugno in streaming sulla piattaforma GoToWebinar, è stato introdotto da Luca Ribichini, presidente Commissione Cultura Casa dell’Architettura OAR: «Etica e professionalità degli architetti – ha detto – saranno centrali nello scenario di cambiamenti post Covid19». Fondamentale – ha poi aggiunto, specificando anche l’impostazione del ciclo di incontri appena avviato – «è avere competenze e conoscenze interrelate l’una con l’altra. Il vero sapere passa sempre da una serie di intersezioni con altri saperi». Il webinar è stato moderato insieme a Francesco Aymonino, commissione Cultura Casa dell’Architettura OAR.

Boeri: «Il futuro delle città? Prossimità, sostenibilità, mobilità leggera»

Il periodo attuale, segnato dalla pandemia da Covid19, «è arrivato nel pieno di una fase di riflessione aperta su diversi fronti: cambiamenti climatici, modello economico, ineguaglianze. Quello attuale, quindi, è un momento in cui si condensano processi con origini lontane». A dirlo è Stefano Boeri, architetto, professore ordinario di Urbanistica presso il Politecnico di Milano e presidente della Fondazione La Triennale di Milano.

In termini architettonici, la riflessione si declina, a tutto tondo, sul tema degli spazi: «spazi privati e domestici, spazi per la convivialità, spazi aperti». In questo senso varrà la pena di soffermarsi sul «ruolo dei tetti, che potrebbero rappresentare quella dimensione intermedia tra pubblico e privato, come prima erano i cortili».

In generale, ha continuato Boeri, si rende necessario «ripensare le città in base ad alcuni elementi fondamentali». In particolare, in una fase come quella del post Covid19, «occorre tornare a ragionare – ha detto – sulla prossimità dei servizi al cittadino. Su una mobilità leggera. Su questioni come qualità dell’aria e forestazione. Sulla riscoperta dei quartieri. Bisogna pensare città che riscoprano, in un certo senso, la dimensione del borgo – ha osservato l’architetto, anche facendo riferimento alla necessità di decentramento emersa con l’emergenza sanitaria in Lombardia – non nel senso nostalgico o romantico, ma nell’ottica di un ritorno a una dimensione di autosufficienza dei quartieri».

C’è una grande possibilità, ha sottolineato Boeri: «Capire che oggi ci sono le condizioni per ripensare a una risorsa dimenticata: i borghi, i piccoli centri di cui è costellato il territorio italiano, le aree interne. Ritrovare il sistema dei borghi di pari passo con il cambiamento del rapporto tra residenzialità e spazi di lavoro». Assistiamo, forse, «al collasso nella struttura di città ottocentesca europea che nasceva sulla condensazione dei flussi e dei corpi. Oggi la tendenza è alla diluizione delle relazioni umane». È possibile, allora, pensare «a un patto, un’alleanza, un contratto di reciprocità tra città e sistema di borghi, per cui chi progetta di spostare la vita in un luogo diverso dalla città abbia la garanzia di essere all’interno di un circuito di economia circolare sull’agricoltura, la forestazione, il lavoro artigianale e il lavoro intellettuale legato alla grande città». Una ricostruzione, quindi, «che guardi a una dimensione autentica e non identica».

«Un progetto nazionale per Roma: puntare sulle straordinarie potenzialità della Capitale»

Poi, il focus su Roma. «Non è comparabile con nessun’altra metropoli del mondo – ha spiegato Boeri -. Porta dentro sé enormi potenzialità, ma anche tare e ritardi. C’è la storia, emergenze del passato senza pari, il verde, la dimensione agricola, diluizione dei comportamenti, intensità degli spazi. Non ha pari». La Capitale «rappresenta una sfida enorme per tutti noi, che non possiamo lasciare solo sulle spalle di Roma. Sarebbe molto bello che Roma diventasse un progetto nazionale perché rappresenta il futuro del mondo».

Le parole di Boeri sono state condivise da Domenico De Masi, professore emerito di Sociologia del lavoro alla Sapienza, che ha anche sottolineato «le potenzialità straordinarie di Roma in riferimento alla sua superficie verde e, in particolare, alla grande risorsa dell’agro romano».

De Masi: «Dallo smart working il via a una ricomposizione della vita urbana»

Le consapevolezze acquisite durante l’emergenza Covid19 sono state molteplici. «Abbiamo compreso i limiti del nostro modello di sviluppo – ha rimarcato De Masi -, l’importanza dei gruppi primari (tra cui famiglia e amici), il mutato rapporto tra tempo e spazio (fondamentale per gli architetti), la rivoluzione dello smart working».

Proprio sulla portata rivoluzionaria dei cambiamenti connessi alla dimensione del lavoro si è concentrata la riflessione del professore emerito, da un punto di vista più strettamente sociologico e delle connessioni con il mondo della progettazione. «Già dal 1993 – ha osservato – avevamo segnalato i possibili vantaggi dello smart working per aziende e lavoratori, senza risultati. All’inizio della pandemia c’erano 570mila telelavoratori, dopo il lockdown si è arrivati a 8 milioni». Cosa succederà adesso e, sopratutto, nel prossimo futuro, se riuscissimo a sfruttare le opportunità di questa rivoluzione? Si chiede, quindi, De Masi. «Ci sarebbe una ricomposizione della vita urbana. E della città come la conosciamo oggi: per metà vuota di giorno e per l’altra metà vuota di notte, al traino dei flussi di persone connessi al lavoro. Migliaia di metri cubi di uffici non serviranno più, mentre le abitazioni dovranno essere modificate per rispondere alla necessità dei lavoratori».

Gli architetti – in ogni caso – hanno un’occasione storica, afferma De Masi: «Dare, in senso opposto a quanto fatto nell’Ottocento e nel Novecento, un contributo prezioso per rendere le forme rappresentazioni plastiche delle funzioni che vi si svolgono dentro». Sfruttando al massimo ed in modo organico «la ricomposizione della vita urbana resa possibile dallo smart working: vita e lavoro, lavoro e casa, casa e quartiere, quartiere e città».

Il ciclo «Ascoltare l’Architettura» prosegue con l’incontro – in programma per domani, 11 giugno (ore 17-19), sulla piattaforma GoToWebinar – dal titolo «Un cambio di prospettiva – Ripensare e vivere nel 3° Millennio», con Doriana e Massimiliano Fuksas, Ottavio Alfieri, Camillo Ricordi, Giovanni Stanghellini, Ramon Prat Homs.

Per seguire il webinar (2 Cfp) è richiesta la registrazione al sito: LINK

(FN)

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