ATTIVITà DELL'ORDINE

Architettura
04 Agosto 2020

Invenzione e accessibilitá. Opportunità di sviluppo e miglioramento

Invenzione e scoperta.

Dal proficuo ausilio dell’enciclopedia Treccani: “Invenzióne s. f. [dal lat. Inventio -onis «atto del trovare; capacità inventiva», der. di invenire «trovare» (…)”.  

L’invenzione attiene anche alla capacità e alla inventiva, caratteri e abilità del nostro tipico operare da architetti, nostre sensibilità tecniche che sono pane per il connesso e sequenziale processo di ideazione e creazione della cosa inventata. L’invenzione porta alla creazione di oggetti, prodotti, strumenti nuovi, ovvero metodi di produzione materiale o intellettuale. E qui richiamo la vostra attenzione: metodo di produzione intellettuale o sistema, non sono altro che nostri strumenti e obiettivi; infatti con un mezzo metodico e codificato noi arriviamo a creare un sistema di regole, componenti, relazioni, che non è altro che fare architettura e configurare spazi. È curioso come la nostra professione potrebbe essere al centro dell’attenzione di processi non solo puntuali ma generali, olistici per così dire, riguardanti cioè sistemi complessi, come le città nel loro insieme, le infrastrutture, il recupero dell’immenso patrimonio che è in corso di abbandono.

E ancora, invenzione con accezione di ideazione e creazione; significa studio, ricerca, sperimentazione, quindi conoscenza profonda e attenta, miglioramento della vita e progresso, facilitazione nel lavoro, quindi miglioramento dei sistemi e componenti che riguardano l’accesso per tutti (allargato e inclusivo).

La sperimentazione concerne le prove, i modelli, la prototipizzazione di nuovi oggetti o sistemi che poi possono essere riprodotti e ufficialmente tutelati con lo strumento del Brevetto, attestato istituzionale della invenzione e del modello stesso.

A lato del concetto di invenzione, indaghiamo quello di scoperta, di ben altra connotazione. Sempre dall’ausilio enciclopedico, scopriamo: “ritrovamento, individuazione di cose, realtà, relazioni sconosciute ma esistenti”.

È naturale riferire tale concetto anche all’ambito scientifico, e più specificamente alle scoperte fisiche, quelle ad esempio naturalistiche, geografiche, astronomiche. Ma ciò che interessa qui è altro. Ci riguarda ad esempio che la preesistenza diquanto scoperto, ossia la reperibilità dell’oggetto nella scoperta, è già esistente ed è quindi solo da rilevare, svelare; in questa azione sembra potersi intravedere una sorta di spirituale illuminazione, quasi agostiniana.

Accessibilità e innovazione. Cosa indaghiamo

Il tema di questa edizione di AR Magazine, per il nostro mestiere e la figura stessa dell’architetto, richiama fortemente il concetto della invenzione, più che della scoperta, nonché i suoi risvolti più o meno diretti sulla professione, sulla cultura della progettazione e della architettura.

Mi riferisco alla invenzione, osservata dal punto di vista della accessibilità, intendendo questa, sinteticamente, in primis come la possibilità e il diritto, per tutti, di muoversi, comunicare e interagire nello spazio come nella società, a tutti i livelli; in seconda battuta come categoria e requisito funzionale di nostra specifica gestione tecnica, che rimanda alla accessibilità inclusiva o diffusa degli spazi come obbligo adeguativo, normativo, deontologico.   

Purtroppo dobbiamo ancora dire che si tratta di un diritto codificato ma non ancora introiettato, come dovrebbe invece essere, nella cultura sociale e costruttiva, non tanto e sufficientemente diffuso, come potrebbe, nella società, in veste di batterio buono.

Guardiamo poi l’accessibilità come etimo in usoe le sue origini. Termine un po’ trascorso, di non troppa grazia uditiva; ridondante ove affiancato ai suoi parentali fruibili-tà/fattibili-tà/abitabili-tà/durabili-tà, e poi ovviamente adattabili-tà/visibili-tà. Siamo negli anni ’70 e ’80: si parlava di metaprogettazione, si studiava anche, e sembrava tutto poter discendere da un algoritmo o da una struttura ad albero; avevamo grande fiducia nella possibilità tecnica di costruire e gestire lo spazio in maniera quasi causale.

Centralità dell’accessibilità e della professione.

Vorrei dare forza a questa categoria funzionale e al concetto cui sottende, perché ritengo che abbia enormi potenzialità di indirizzo e rinnovamento, quindi di innovazione, come più avanti e meglio descritto; pensiamo ad esempio alle innumerevoli azioni del nostro vivere, che partecipano fortemente alla configurazione degli spazi. Segue la citazione di alcune delle più caratterizzanti.  Accessibilità come azione e come dinamica: entrare, uscire, attraversare, passare, correre, camminare, scendere, salire, elevare, fermare, riavviare, strisciare, accelerare, rallentare, partire, tornare, andare. Ma ben oltre l’accessibilità, pur vista in senso riduttivo come semplice requisito funzionale, ha grande rilievo perché ha una vitalità che sfocia in potenzialità ed esiti architettonici; infatti, modificando i suoi parametri, la sua configurazione spaziale e funzionale, cambia l’esito della percezione e della comprensione, quindi del messaggio per l’utilizzatore, poi ancora la valutazione finale che questi opera intimamente, infine la memoria spaziale che gli resta. Pensiamo ad esempio all’importanza di come appare e si presenta la facciata di accesso di un edificio pubblico; nell’avvicinamento ad esso dall’esterno, dallo spazio aperto a quello interno; il filtro-scena di facciata diventa il biglietto da visita di ciò che esso contiene e di quanto vuole comunicare. Se questo filtro è alto, basso, colorato, leggero, pieno o bucato, ebbene ciò dà significato preciso e mnemonico a chi usa l’edificio, e questo lo conduce poi ad apprezzarlo, o più spesso ahimè, a esecrarlo.

È un compito importantissimo, tecnicamente in nuce, è effetto architettonico quanto mai funzionale. Ciò induce direttamente al tema della inclusione, della fruizione diffusa, mirata alla onnicomprensività degli utenti, fatta cioè per ogni persona al lordo delle sue connotazioni fisico-percettive-sensoriali.

Includere può significare semplicemente dare una chiara e immediata visibilità ad un accesso di un edificio, con degli espedienti fisici, con dei piani, dei componenti matericamente differenziati, o dei giochi puntuali e formalistici, ma significa anche una chiara individuazione delle posizioni tecnologiche (strumenti per le aperture, dispositivi, elevatori, comunicazioni foniche) e un layout funzionale semplice e lineare, senza penalizzare il gioco estetico. In sostanza il nostro mestiere: firmitas e utilitas.

L’attenzione e la concentrazione sull’accessibilitàè d’obbligo per noi architetti e il nostro contributo può essere strategico. Siamo cioè portatori di capacità, di comprensione della società (stakeholders, portatori di interessi) se vogliamo, quindi dalla nostra ricerca possiamo orientare i suoi mutevoli fenomeni fisici e immateriali; siamo ad esempio quelli che possono afferrare e indirizzare lo sviluppo e il recupero delle cittadine, dei paesi in abbandono.

Accessibilità e spazio connettivo.

Cito, da una tesi di dottorato di Alessandro Brunelli, due dei “Principi didattici e fondamenti della formazione architettonica”, in particolare il terzo ed il quarto: “3. L’architettura manipola lo spazio: in particolare l’architettura costruisce (firmitas) esteticamente (venustas) lo spazio fisico abitabile (utilitas) (…) 4. Essa è dunque attività estetica (venustas), attività costruttiva (firmitas), attività distributiva (firmitas)”. (Sapienza Università di Roma, DIAP – Dottorato di ricerca in Architettura, Teoria e Progetto, “Alessandro Anselmi. Intuizioni sulla forma architettonica. Scritti e Progetti dopo il GRAU”, pag. 86).

Architettura come attività distributiva, secondo un concetto allargato di firmitas; questa è una delle intuizioni di Anselmi; e oggi in questo indirizzo vogliamo provare a guardare oltre, intendendola cioè come potenziale innovazione nel panorama della cultura architettonica, persino urbanistica.

L’accessibilità come attività distributiva può essere infatti vista come sistemaspazio servente (termini della tradizione di formazione), perciò come sistema connettivo per gli spazi e per il costruito già esistenti. Essa può cioè regolare, gestire, unire e coordinare, quindi rigenerare tali spazi; può dare anche rilancio alla nostra cara e bistrattata professione dell’architettura; secondo tale indirizzo possiamo guardare persino al tema del riassetto urbano e del suo riscontro sociale; ed è proprio qui che noi architetti possiamo operare come attori principali che elaborano, riconoscono o scoprono, visioni d’insieme oggi perse nei meandri della specializzazione esasperata. Anche Giancarlo De Carlo, nella rivista Spazio e Società, trattava l’argomento evidenziando l’esigenza di una visione generalista.

All’interno di questa visione poniamo una sfida notevole di  invenzione e innovazione, quella cioè di pensare, inventare e creare un sistema, un insieme codificato di componenti che regoli una volta per tutte lo spazio pubblico, che sia riferimento infrastrutturante, tecnico e architettonico, e di design, per una dignitosa configurazione e arredo degli spazi comuni della società; parlo banalmente (ma corre l’obbligo esemplificativo) di marciapiedi e cigli, di rampe e di raccordi, di pavimentazioni antiscivolo, di mancorrenti, panchine, cestini, lampioni, raccoglitori rifiuti, banchine per il trasporto pubblico etc. Un insieme condiviso e consolidato di elementi ordinanti come fossero infrastrutturazioni imprescindibili dello spazio pubblico. Pensiamo alla forza e alla innovazione di un tale sistema, se unitario e condiviso, che ovviamente sia di pubblica iniziativa. Pensiamo in questo al contributo della tecnologia, al suo grande potenziale, ove associata alla accessibilità inclusiva, quella giusta, moderata.

Innovazione e soluzioni eccellenti

Dalla invenzione passando per l’accessibilità, arriviamo infine e ancora alla invenzione, quindi al modello/prototipo, ossia alle soluzioni innovative, puntuali ed esemplificative. C’è gran bisogno di innovazione nel settore del superamento delle barriere architettoniche e in generale, come detto, nell’ambito vasto dell’accessibilità inclusiva.

Perché:

  1. Per le mutate esigenze antropometriche e di mobilità, nuovi standard di riferimento, nuovi sistemi di mobilità (scooter e sedia a ruote elettrici, carrelli e cart elettrici, mezzi di nuova generazione)
  2. Per la conseguente crescita e il mutamento dei parametri di ingombro, di flusso e quindi di spazi, passaggi, percorsi, varchi, porte, finestre etc.
  3. Per la senescenza, l’aumento della popolazione aged, che oggigiorno addirittura ha difficoltà nel muoversi in casa e spesso subisce danni, nelle abitazioni, nelle scale e negli ascensori condominiali di vecchia concezione. E parimenti nelle pubbliche vie.
  4. Per la compressione dello spazio della città contemporanea, e anche per la ridotta disponibilità di spazio aperto e non costruito.
  5. Per la diffusione del caos urbano, effetto di una libera iniziativa economica che incontrollata dà sfogo a fenomeni spontanei che producono modifiche, variazioni ambientali, con importanti effetti negativi che rendono difficile, spesso impossibile, la minima gestione organizzata e la preventiva pianificazione.

Cosa:

Sistemi e componenti per l’accessibilità inclusiva.Estetica, funzionalità (e sicurezza) sono essenziali in questo settore così strumentale. Purtroppo sono requisiti rari. La massima parte dei prodotti disponibili sul mercato oggi è figlia del mondo della meccanica e dell’ascensoristica spicciole, funzionali e a volte nemmeno tanto, quandanche non derivino commercialmente, ed esteticamente purtroppo, da ambiti come gli ausili e i dispositivi sanitari. Pensate quale estetica possano essi offrire.

Al contrario noi dobbiamo sviluppare strumenti preziosi, design, non mere macchine; che siano invece strumenti massimamente integrati nello spazio in cui si collocano, e ciò anche attraverso una coordinazione con l’estetica che li connota.

Come spesso ci narrava Luigi Pellegrin, lo sviluppo tecnologico elevato che ha distinto il settore automobilistico è imparagonabile a quello nel settore abitativo che è rimasto pressoché immutato. Parimenti all’abitare, questa amara riflessione attiene al mondo degli strumenti per l’accessibilità inclusiva; parlo delle piattaforme elevatrici, dei servo-scala, delle rampe, degli ascensori, per non citare le scale mobili, pressoché identiche nel tempo alla loro estetica d’origine, e non tralascio le scale come elemento primordiale.

Cito pertanto alcuni casi eccellenti che meritano visibilità per la loro innovazione (e anche per il contributo alla progettazione universale che l’Osservatorio dell’OAR istituzionalmente vuole sostenere e divulgare), come ad esempio: ibrido scala-piattaforma; carrozzina saliscale; carrozzina con propulsione manuale; alzatore, sedia elevabile mobile per il trasferimento di persone sdraiate dal pavimento a una posizione seduta o in piedi (Brevetto n. US D777,466 S, in commercio); dispositivo indossabile per orientamento.

Verso un uso intelligente dello smart phone

Le persone con ridotte capacità motorie sono in molti casi gli utilizzatori più adatti e idonei all’utilizzo del sistema touch, quando però questo percepisce un tocco specifico, cioè generale e non legato a una piccola zona puntiforme; serve cioè un tocco ampio e di sensibilità maggiore che possa far partire l’input da parte di questi utilizzatori. Negligente ergonomia di questi dispositivi di comunicazione; ad oggi nel mercato commerciale abbiamo delle scatoline schiacciate sfuggenti e per nulla conformi alla anatomia umana della mano. Figuriamoci se sono adatte all’uso per persone che hanno mutate condizioni di percezione, e soprattutto di presa manuale!

La gente vaga per le pubbliche strade (e troppo spesso in auto) con la sindrome della testa bassa, non vede lo spazio urbano condiviso, la strada, non parliamo del cielo e dell’orizzonte (né fortunatamente di “nuvole”), né parliamo poi del pericolo enorme che questa estraneità ambientale comporta.

Strano come un strumento così tecnologico possa essere addirittura pericoloso per certe persone, e come invece possa diventare uno strumento vero di libertà per altre, ben più bisognose di supporto e non di insensato passatempo che allontana la vita reale.

Alcuni esempi sono:

  1. prototipo di sistema di gestione smart home, 2012;
  2. IOT città intelligenti;
  3. sistema di localizzazione indoor;
  4. rampa autoincorporata;

Daniele Martufi

Architetto, Osservatorio sull’Accessibilità e la Progettazione Universale dell’Ordine degli Architetti P.P.C. di Roma e provincia

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