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Architettura
14 Aprile 2022

Souto de Moura: architettura tra realtà, dimensione storica e culturale. La lectio magistralis all’Acquario Romano

di Redazione OAR

Uno sguardo sempre focalizzato sulla realtà e in grado di cogliere il valore della dimensione culturale e storica dei progetti. Un’attenzione costante al contesto in cui si collocano le opere, che si tratti di interventi di riconversione e recupero o della realizzazione di nuovi edifici. E una visione non lineare dell’architettura, incentrata su libertà e autonomia dell’architetto, declinate attraverso la messa a punto di soluzioni personali, anche di tipo sperimentale. Sono alcune delle caratteristiche che rendono unica la figura di Eduardo Souto de Moura, l’architetto portoghese – già insignito, tra l’altro, del Pritzker Prize 2011 e del Leone d’Oro alla Biennale Architettura di Venezia 2018 – al quale è stata conferita, lo scorso 11 aprile, la laurea ad honorem in Architettura dalla Sapienza di Roma, e che ha chiuso la sua visita nella Capitale con una lectio magistralis, il giorno dopo, alla Casa dell’Architettura.

Nel corso dell’evento – con il coordinamento scientifico di Luca Ribichini, presidente Cocuca (Commissione Cultura Casa Architettura) OAR – Souto de Moura ha compiuto un viaggio retrospettivo attraverso la sua carriera, con tanti aneddoti e curiosità del passato, ma anche con un costante riferimento alle soluzioni concrete che l’architettura è in grado offrire per risolvere le esigenze del presente e per affrontare le sfide del futuro. La lectio magistralis ha seguito la scia delle suggestioni fotografiche proposte da Barbara Bogoni, del dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, ateneo dove l’architetto portoghese è docente ordinario di Progettazione architettonica e storia.

Il racconto che Souto de Moura ha offerto all’Acquario Romano è corso sul filo conduttore dei ricordi: dal legame con la sua città, Porto – caratterizzata da una relazione inscindibile tra dimensione naturale e artificiale – al rapporto strettissimo con maestri come Fernando Tavora e Álvaro Siza, con gustosi aneddoti come quello riguardante il «concorso interno», indetto tra loro, per la progettazione dello studio professionale nella città portoghese. E ancora: l’approccio «misurato» del Portogallo all’architettura coloniale, la riflessione sulle «rovine» e il loro rapporto con il contemporaneo, le definizioni di architettura, «non lineare e stratificata», che deve «occuparsi delle cose di tutti i giorni», ed ili riferimento al ponte che – con la sua capacità di unire – «è uno dei soggetti architettonici più belli».

Tra i cenni ad alcune delle sue opere più celebri – dallo Stadio Municipale di Braga alla Casa das Histórias Paula Rego a Cascais, fino al Convento das Bernardas a Tavira – non sono mancati i passaggi su temi specifici, come la riflessione – che caratterizza l’approccio stesso del maestro portoghese – sulla ricerca di un equilibrio tra la tensione verso l’innovazione, la modernità e la presenza del passato, della rovina. «Non ho un approccio romantico, ma incisivo – ha spiegato -: credo che le rovine siano strutture aperte, che possano ricevere. La storia dell’architettura è stratificazione, è un collage. La dicotomia tra antico e nuovo non esiste».

L’architettura – ha poi aggiunto – «è una disciplina fatta di intrecci, non è lineare. Nei miei progetti non faccio mai l’analisi per arrivare alla sintesi; parto invece da quest’ultima per poi cercare conferme». Infine, un pensiero dedicato a Roma: «È la città che mi affascina di più – ha detto -, perché qui c’è tutto: tracce della Grecia, la città medievale, il Rinascimento, l’architettura razionalista degli anni Trenta, fino ai nostri giorni. L’architettura contemporanea è più debole, ma non solo qui. A Roma, come in una pellicola cinematografica che si riavvolge, si può ripercorrere a ritroso la storia dell’architettura».

A introdurre la lectio magistralis del maestro portoghese è stato Luca Ribichini, presidente Commissione Cultura Casa Architettura OAR, rimarcando – anche in riferimento a una narrazione quotidiana sempre più divisiva imposta dalla guerra in Ucraina – come «Souto de Moura sia stato, sia e sarà un architetto europeo. La sua appartenenza a una scala di valori europea è un elemento di identità molto forte, caratterizzato, dal punto di vista professionale, dalla libertà di vedere le cose in modo autonomo, di esercitare il libero arbitrio nel campo dell’architettura. La sua opera ha contribuito a dare ulteriore lustro alla professione di architetto, anche grazie alla sua capacità di tenere insieme teoria e pratica».

Per Orazio Carpenzano, preside della Facoltà di Architettura della Sapienza, Souto de Moura è portatore di «un gradiente altissimo di considerazione dell’impegno per il mestiere di architetto, non separabile, tuttavia, da una visione umile. Resta con i piedi per terra, pur essendo sognatore. In lui convivono in un rapporto di simbiosi totale due aspetti interessanti: il paradigma logico della costruttività e quello para-logico dell’astrazione».

Incontri come quello con Souto de Moura – ha rimarcato Alessandro Panci, presidente OAR – «servono a raccontare e far conoscere l’architettura dei grandi maestri. Roma ha bisogno di alimentare la riflessione e il dibattito intorno ai temi dell’architettura e non solo. In quest’ottica, l’Ordine porta avanti la sua azione su un doppio binario. Da un lato, far conoscere architettura, paesaggi e buone pratiche in riferimento al territorio di Roma e provincia e, dall’altro, aprire una finestra su tutto quello che accade intorno, in Italia e all’estero: per questo, l’OAR organizza il Festival dell’Architettura di Roma, che quest’anno si terrà il prossimo giugno». (FN)

di Francesco Nariello
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