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Architettura
17 Ottobre 2020

Spam Co-City. Ute Schneider (Kcap): Città aperte, spazi multiuso e ibridi per casa, lavoro e tempo libero

di Redazione OAR

La città della condivisione, dagli spazi pubblici a quelli lavorativi, dalla fruibilità dei beni comuni alle diverse forme assunte dalla sharing economy. Cooperazione e competizione tra centri urbani ma anche ricerca di coesistenza e connessioni tra centro e periferia, e di formule per la convivenza all’interno della comunità e tra le comunità. Città della comunicazione, che punta al coinvolgimento dei cittadini attraverso la partecipazione alle scelte di sviluppo urbano, e della collaborazione, tra gli attori del cambiamento così come – nel campo della progettazione – tra professionisti, sempre più spesso chiamati a mettere a fattore comune competenze multidisciplinari.

Il viaggio della seconda edizione di Spam 2020 si chiude il 16 ottobre con una giornata dedicata alla Co-City, ovvero a tutti i modi in cui, nelle città e nelle strategie urbane, si declina il suffisso «co», che è sinonimo di unione, partecipazione, capacità di fare qualcosa insieme agli altri. La sessione pomeridiana ha visto, come di consueto, alternarsi nella riflessione sul tema ospiti provenienti da campi disciplinari diversi, per poi concludersi con la presentazione delle proposte elaborate nell’ambito di Spamlab, workshop aperto ed operativo di progettualità con focus su Roma e quest’anno, in particolare, sul quartiere Eur.

Schneider: Collaborazione anche nella progettazione con un approccio multidisciplinare

«Di cosa hanno bisogno le città e quali relazioni possono stabilire con il proprio hinterland?» È la prima domanda che si è posta – nel corso della propria lectureUte Schneider, di Kcap, gruppo con base a Rotterdam e sedi a Zurigo e Shanghai. «Sempre più persone si spostano verso l’esterno delle città ed è quanto mai necessario interrogarsi sul concetto di coesistenza, anche tra le differenze culturali, analizzando i bisogni dei cittadini e delle comunità. Sulla relazione tra forma fisica e sociale delle città. Chiedersi come le persone creano e utilizzano gli spazi. Come crescono i centri urbani. Come costruire. E come cambiare i modelli esistenti». 

È necessario, prosegue la progettista, considerare «le città come organismi viventi, ciascuna con la propria identità e con un rapporto di cooperazione/competizione tra loro. Le periferie, a loro volta, diventano sempre più multidimensionali. Attraverso la presentazione di una serie di progetti realizzati nel mondo da Kcap, Schneider descrive alcuni assi fondamentali dell’approccio alla progettazione dello studio, in relazione al tema Co-City: dalla trasformazione Hamerkop Amsterdam che ha visto il «coinvolgimento di diversi attori con l’obiettivo di rappresentare la varietà» al progetto Green Arcadia, con «edifici di ‘comunità’ e il coinvolgimento degli utenti nell’uso degli spazi intermedi», fino al City in the Garden, a Singapore, «incentrato sull’obiettivo di portare il verde in un quartiere, ritrovando la scala umana».

Si assiste al crescere dell’esigenza, spiega Schneider, «di una ibridizzazione, ad esempio tra aree dedicate al lavoro e al tempo libero. Gli edifici che progettiamo devono essere sostenibili, ma soprattutto ‘circolari’, ovvero in grado rappresentare la varietà e integrare allo stesso tempo residenze, uffici, piccole attività produttive. Obiettivo: creare aree urbane vive, in cui si abita ma ci sono anche istruzione, formazione, commercio, spazi misti, aperti e multiuso».

Co-city «è anche co-creazione e negoziazione», osserva la progettista tedesca, su un doppio fronte: progettazione e partecipazione alla definizione dei progetti. «La collaborazione è un aspetto sempre più centrale anche sul fronte della progettazione, tra architetti e non solo: serve un approccio decisamente multidisciplinare per rispondere ai bisogni di chi vive le città. Allo stesso tempo, bisogna saper comunicare i progetti: non possiamo costruire le città senza coinvolgere i cittadini. La partecipazione è un elemento ormai imprescindibile. Gli architetti devono sempre interrogarsi sugli ingredienti di un progetto. Se sono quelli giusti o se c’è bisogno di mettersi in discussione e confrontarsi con altri punti di vista». In altre parole, condividere.

Infine, una riflessione sulla situazione attuale: «Alcuni sostengono – dice Schneider – che la pandemia da Covid19 ci porterà ad avere bisogno di maggiori spazi a disposizione di ciascuno, ma sappiamo che questo non è possibile. Per questo dobbiamo trovare le strategie che ci consentano di vivere meglio negli agglomerati densi».

Molinari: Una visione per la voglia di stare insieme delle comunità

A fare il punto sullo scenario che caratterizza la fase attuale dello sviluppo urbano è Luca Molinari, critico, curatore e storico di architettura, che ha partecipato allo spazio Confronti. «A una città che fino a pochi mesi fa sembrava basata su un’idea di sharing, condivisione, il lockdown ha imposto una separazione radicale tra vita interna ed esterna. Il Coronavirus ha cambiato lo scenario: la densità, che era un valore per le città, oggi appare un problema. È come se ci avesse riportato indietro di quasi vent’anni». Questo dimostra, prosegue, «quanto abbiamo voglia di ‘Co’, nel senso di condivisione di risorse e beni: è una strada obbligata. Il bisogno di stare insieme è più forte di ogni altra cosa perché arriva dal basso. Non è un tema di architettura ma un tema che l’architettura ha elaborato interpretando una pressione che arriva dalle comunità, dalle persone che chiedono di condividere tutto quello che c’è, di utilizzarlo in maniera diversa e trasformarlo in un bene comune. L’idea è che la progettazione interpreti questo spirito e lo trasformi in una visione per le comunità. Può essere una straordinaria occasione per l’architettura anche di ripensarsi e vedere come contribuire in maniera differente a progettare le città del futuro». Tenendo presente, conclude Molinari, che «la Co-City è la città in cui tutto si è mescolato».

Lo sguardo su Roma. Il progetti del workshop SpamLab per l’Eur

Per Carmen Andriani, docente all’Università di Genova, «prima di arrivare ai modelli fisici è necessario ripensare i modelli sociali, di convivialità  e condivisione ma anche quelli di una nuova economia, perché sono elementi strettamente legati tra loro. C’è sempre più bisogno di condivisione di iniziative, progetti, visioni, non solo in modo virtuale». Poi lo sguardo si posa su Roma, «che è necessaria, per tutto quello che rappresenta, per il suo valore iconico, per il suo essere una delle componenti della civiltà occidentale. Si presenta, in termini di configurazione, come una metropoli fratta. Occorre però una visione per la Capitale, anche sul fronte dei modelli sociali e di condivisione».

Nel corso del Focus Urban è intervenuto, tra gli altri, Alberto Sasso, presidente di Eur Spa – partner di Spam per i laboratori realizzati nell’ambito di SpamLab – che ha posto il tema della necessità di una visione sulla trasformazione di una parte importante della città», sottolineando il valore della «partecipazione e di una progettualità condivisa».

Ed è proprio con la presentazione dei lavori prodotti nell’ambito di SpamLab che si è chiusa l’edizione 2020 del Festival dell’architettura di Roma. I giovani coinvolti nei tre workshop –  guidati (in qualità di responsabili) da Vincenzo Latina, Michelangelo Pugliese con Elena Farnè di Rebus® e Orazio Carpenzano – hanno illustrato le loro proposte per l’Eur: dall’onirica interpretazione del quartiere ad un approccio green impostato su ambiente, mobilità e rinaturalizzazione dell’area, fino all’idea di puntare sulla sua posizione baricentrica tra Roma e il mare.

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(FN)

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