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Architettura
15 Ottobre 2020

Spam Urban Metabolism. Rasmus Astrup (Sla): Portare la natura dentro lo spazio urbano

di Redazione OAR

Le città viste come corpi viventi, organismi ai quali assicurare un ciclo di vita sostenibile. Riportando la natura all’interno delle città stesse, eliminando e confondendo tra loro i confini tra verde e spazio urbano. Perseguendo la sostenibilità, dunque, ma anche interrogandosi e proponendo soluzioni, proprio come per il metabolismo di un essere vivente, su aspetti come la vita degli edifici, il ciclo dei rifiuti, la filiera del cibo, dal km0 all’agricoltura urbana.

Sono state queste alcune delle suggestioni che hanno caratterizzato la giornata di Spam del 14 ottobre che, a partire dal tema Urban Metabolism, ha chiamato gli ospiti – provenienti da diversi settori disciplinari – a riflettere sugli equilibri vitali interni ai tessuti urbani e ai rapporti tra città e natura.

Rasmus Astrup: Le città competono per migliorare il proprio ambiente vitale

«La nostra progettazione è basata sulla natura», ha detto Rasmus Astrup, architetto danese – protagonista delle lecture della sessione pomeridiana – che ha raccontato, anche attraverso alcuni progetti realizzati nel mondo, l’approccio di Sla, studio con base a Copenhagen, specializzato in paesaggio e guidato da Stig L. Andersson. «L’obiettivo di creare un’atmosfera speciale è fondamentale per lo sviluppo dei nostri progetti. Puntiamo a offrire esperienze per indurre le persone a instaurare dialoghi, aprire la propria mente, interrogarsi su ciò che le circonda e sullo spazio urbano. La nostra fonte di ispirazione è la natura: sistema complesso che sembra caotico ma che è invece caratterizzato da un insieme di equilibri da rispettare e dal quale dobbiamo lasciarci ispirare se volgiamo migliorare il futuro delle città». 

Non mancano gli esempi di progetti, alcuni dei quali illustrati da Astrup nel corso della sua lecture, firmati da Sla che rendono palese l’approccio alla progettazione dello studio danese: da Ternes-Villiers, progetto vincitore nell’ambito della competizione Reinventer Paris, ad Amager Bakke, la pista da sci realizzata sul tetto di un termo-valorizzatore a Copenhagen. «Cerchiamo di inserire nelle città strati diversi sopra quelli esistenti – afferma l’architetto -, portandovi la natura e integrandola nello spazio urbano». La sostenibilità, prosegue, «è per noi un aspetto fondamentale, ma pensiamo di dover aggiunger qualcosa a tale concetto, per rendere l’esperienza complessiva più ricca e piacevole: cerchiamo sempre di capire come rendere la sostenibilità complementare con la natura. Anche puntando a migliorare realmente, laddove possibile, i livelli di inquinamento, atmosferico, acustico». Si aggiunge una riflessione sulle città contemporanee, «che sono troppo spesso disconnesse. Per trovare la natura bisogna uscire dallo spazio urbano e, invece, non dovrebbe essere così. Le città ora stanno iniziando a competere tra loro perché si sono rese conto di quanto sia importante che i loro cittadini siano felici. E non si è felici in una giungla di cemento. Questo è il nostro impegno, ma per riuscire a proporre progetti adeguati in quest’ottica occorre un approccio multidisciplinare».

Lo sguardo di Astrup si è rivolto anche alla situazione di Roma, dove «c’è un problema manutenzione – che è pessima – ma anche una forte sensazione di natura, che deriva dalla ricchezza della storia. Gli edifici sono decadenti ma la natura sembra preservarli, a volte sembra crescere su di loro e renderli più forti. Forse dovreste creare un sistema per inserire la natura, i parchi, nella vostra vita quotidiana. Siete abituati a controllare la natura, a recintare, e invece sarebbe opportuno aprire, confondendo i confini tra strada e parco».

Andreini (Archea): sostenibilità e strategie per valorizzare il «locale»

Ad approfondire il ragionamento in chiave Urban Metabolism è stata anche Laura Andreini, studio Archea di Firenze, osservando come si parli di «città viventi, che implica pensare a tanti sottoinsiemi che tra di loro collaborano e cercano di trovare soluzioni all’interno di una circolarità. Un sistema che non produce rifiuti ma che porti tutto quello che è in movimento verso il riciclo e il riutilizzo. La città, in questo senso, è città circolare, in cui ogni elemento fa parte del sistema». Tutto va visto, prosegue, attraverso la lente della «sostenibilità che, in qualche modo, porta la città a rigenerarsi. Il periodo segnato dall’emergenza epidemiologica globale ha portato gli architetti, e non solo, a ripensare lo spazio in cui abitiamo, lavoriamo, studiamo, rivedendo un modus vivendi che era proiettato verso un andamento più lineare, ‘usa e getta’. Ora, ma già da tempo in verità, ci rendiamo conto che non possiamo permettercelo. Occorre cambiare impostazione. Pensiamo all’agricoltura urbana oppure al cibo, che è un elemento completamente urbano: a partire dalla filiera che lo produce, passando da trasporto e riciclo, fino agli aspetti di socializzazione e anche di rigenerazione urbana, in quanto il food diventa elemento che riesce a recuperare spazi e a renderli vivi». In riferimento a diversi progetti realizzati da Archea – tra i quali la Cantina Antinori nel Chianti, in Toscana – Andreini sottolinea che «l’attenzione alla sostenibilità è un tratto comune degli interventi dello studio. E che si connette alla ricerca di strategie per ottimizzare il ‘locale’, cioè tutti gli aspetti legati al territorio».

Dal ciclo dei rifiuti alla vita «segreta» degli edifici

Lo scambio di idee sul metabolismo urbano ha spaziato su più fronti nel corso della giornata. Da quello estremamente concreto, che può materializzarsi nel sistemi di smaltimento rifiuti, su cui è intervenuto Raphael Rossi, waste manager, chiarendo che «da una parte, l’Italia, e in particolare alcune regioni, ha raggiunto risultati importanti negli ultimi 15 anni sul fronte della gestione dei rifiuti, dall’altra, però, mancano tuttora un’architettura, un progetto e una visione organica sul tema». 

Fino al racconto «poetico» della vita degli edifici fatto da Vincenzo Latina: «Gli edifici dormono, cantano, parlano, si illuminano – ha detto -. Ci sono architetture che in pochi minuti dicono tutto. E altre per cui c’è bisogno di tempo. Edifici che durante tutto il giorno dormono , sonnecchiano, poi un raggio di luce mette in mostra quello che fino a quel momento era rimasto invisibile: a questo punto gli edifici migliori cantano, oppure raccontano come sono fatti. La luce mette in mostra anche i difetti, che talvolta però, sono grandi peculiarità».

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(FN)

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