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15 Febbraio 2020

Lo spazio interno: all’OAR lectio magistralis di Khoury e Ricciotti

di Redazione OAR

Permeabilità, modularità, trasparenza. Dialogo e interazione con il contesto di riferimento. Connessioni tra la “pelle” esterna di un edificio – la sua forma, i materiali utilizzati – ed il suo spazio interno, sia esso luogo di lavoro, di cultura, di svago o residenziale. Sono alcuni dei segni distintivi delle opere realizzate da due progettisti di rilievo internazionale come il francese Rudy Ricciotti e il libanese Bernard Khoury. Dai ricami in filigrana di calcestruzzo del Mucem a Marsiglia al reticolo di cemento e vetro del Pavillon Noir, ad Aix-en.Provence. Dal Plot # 1282, “vascello” residenziale futuristico immerso in una remota periferia urbana, alla music hall sotterranea B018, entrambi localizzati in contesti complessi a Beirut, in Libano.

I due grandi architetti saranno alla Casa dell’Architettura, il prossimo 18 febbraio. A entrambi è affidata una lectio magistralis sul tema: “Workspace Experience – La magia dello spazio interno – Come cambiano i luoghi di lavoro”. A loro si unirà l’antropologo Marc Augé – celebre per le sue analisi sugli spazi moderni e autore della teoria dei ‘nonluoghi’ – con una terza lectio di taglio storico teorico; presenti, tra gli altri, architetti di studi romani come Gianluigi e Marco Giammetta di Giammetta Architects e Susanna Tradati di Nemesi Studio (qui il programma completo con tutti gli ospiti). L’occasione sarà la master class di Faram – storico brand delle partizioni mobili, dell’arredo per l’ufficio, pareti e contenitori – azienda partner dell’OAR nell’ambito del progetto Firm-A.

Ricciotti: ricami in cemento e superfici permeabili

Tra le opere più famose di Rudy Ricciotti c’è il MuCEM, Musée des Civilizations de l’Europa et de la Méditerranée (2013) realizzato a Marsiglia, con il suo caratteristico involucro esterno “sensoriale, fluido, come i capelli di una donna” (così lo ha definito lo stesso architetto francese): una sorta di filigrana realizzata con otto diversi tipi di cemento a reticolo. Il velo in calcestruzzo decorato che avvolge l’edificio (un quadrato perfetto di 72 metri di lato, con al suo interno un quadrato più piccolo con lato 52 metri) lo apre alla luce naturale e al panorama circostante, creando articolati giochi di luci e ombre. Gli spettacolari rivestimenti di facciate e tetto sono permeabili, servono a “smaterializzare” la luce, permettendole di pervadere lo spazio interno e ricreando quasi “una proiezione del fondale marino”. Nel cuore del museo ci sono sale espositive e per conferenze, area per bambini, auditorium (335 sedute), libreria, ristorante con terrazza panoramica e luoghi di servizio. Gli spazi interni riservati a gallerie e mostre sono caratterizzati da una elevata modulabilità, con ambienti regolabili a seconda delle esigenze.  

L’uso del calcestruzzo “esplosivo” – così come Philippe Starck ha definito l’impiego di questo materiale da parte dell’architetto francese – caratterizza anche il Pavillon Noir ad Aix-en.Provence. (2006), sede del Centro coreografico nazionale. Anche qui la cui struttura esterna diventa una trama di “pelle traforata”, uno scheletro nel quale cemento e vetro sono i protagonisti. La composizione dinamica, con gli ampi squarci aperti tra i “rami”, sia in senso verticale che obliquo, è caratterizzata dalla presenza di grandi vetrate che permettono allo sguardo di proiettarsi verso l’interno dell’edificio e – viceversa – proiettano dall’interno verso il contesto esterno.

Da ricordare, anche il Musée Jean Cocteau, dedicato alla carriera dell’artista, poeta e autore francese, aperto a Menton nel 2011: in questo caso sono delle specie di tentacoli frastagliati ad “imprigionare” l’edificio, creando una sorta di conchiglia, con gli interni della struttura che mantengono l’idea di unità trasmessa all’esterno.

Khoury: progetti dal significato politico e sociale

La permeabilità tra interno ed esterno è uno dei segni distintivi di Plot # 1282, progetto residenziale firmato da Bernard Khoury, con il suo studio DW5, e situato nella periferia nord di Beirut, in Libano. Una struttura (completata nel 2017) che ricorda quella di una nave, una sorta di vascello ancorato in un paesaggio “estraniante”, tra terreni agricoli, baracche, caserme militari: si tratta di un complesso formato da 95 loft industriali con superfici che vanno dai 100 mq ai 650 mq, soffitti molto alti (5,3 metri) e pochissime partizioni interne. La piena trasparenza in facciata, con aperture a tutta altezza, è un tratto comune a tutti i loft: nella situazione attuale, l’edificio è immerso nella luce solare ed offre viste panoramiche in tutte le direzioni. Il design dell’opera risponde al contesto in cui è inserita, ma anche a un possibile sviluppo futuro dell’area, che potrebbe cambiare i connotati dell’intorno e anche del modo di abitare gli spazi.

Le opere dell’architetto libanese – sia in termini progettuali che di location – hanno, in diverse occasioni, assunto i connotati di “missioni” complesse, la cui realizzazione ha chiamato in causa  tematiche sociali e politiche delicate. Un esempio su tutti è quello del B018, uno dei progetti che ha contribuito a rendere noto il lavoro di Khoury: il trasferimento di un music club, nel 1998, nella “Quarantaine”, area in prossimità del porto di Beirut, che era stato luogo di quarantena per gli equipaggi durante il protettorato francese, poi dimora di rifugiati palestinesi, curdi e del sud libanese, teatro di violenze, liberato solo nel 1976. Qui è stata realizzata una sorta di opera “a scomparsa”, che si sviluppa quasi interamente sotto il livello della strada. Durante la chiusura è quasi invisibile. Si anima di notte, quando la struttura del tetto, costruita in metallo, si ritrae idraulicamente: in questo modo il club si apre al paesaggio urbano esterno, che diviene elemento caratterizzante dello scenario interno.

“Ogni progetto per me è parte integrante del contesto” ha detto lo stesso Khoury. E realizzare questo tipo di opera in un luogo così pregno di significati, è stato – per l’architetto –  come prendere di nuovi possesso di una parte del propria città, farla tornare a vivere. Tutto l’arredo interno del B018 è stato disegnato e prodotto da Khoury: dagli sgabelli girevoli ai divani che si richiudono per trasformarsi in pedane da ballo; gli interni sono stati rinnovati di recente con l’inserimento di numerosi elementi in pietra per conferirgli un carattere permanente.

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