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Architettura
09 Ottobre 2023

Come devono essere gli spazi di lavoro del futuro? Belli, inclusivi, sostenibili e attraenti

Al convegno co-organizzato dall'OAR, tenutosi il 5 ottobre a Villa Altieri, si è parlato di progettazione sensibile degli spazi per il lavoro, ma anche di nuovi fenomeni da gestire, richiamati dai cambiamenti che la crisi pandemica ha accentuato, come il nomadismo digitale e non solo. Carlo Ratti apre una finestra su un problema che si sta diffondendo e lo fa riprendendo il titolo di un suo articolo sul NY Times: : «A New York gli uffici vuoti potrebbero riempire 26 Empire State Building»

Cosa significa progettare spazi di lavoro in modo sensibile e a quali richieste e a quali nuovi fenomeni, messi in risalto dalla crisi pandemica, bisogna prestare attenzione? Attraverso esempi concreti e punti di vista di autorevoli relatori, che hanno analizzato gli argomenti da diverse prospettive, il convegno sulla Progettazione sensibile dei luoghi di lavoro e degli spazi di co-working, organizzato dall’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia e dalla Città metropolitana di Roma Capitale, ha offerto uno spaccato sugli uffici più moderni, attenti al benessere psico-fisico degli utenti, e sulle tendenze in corso, con uno sguardo rivolto al futuro.

La conferenza è inserita nel catalogo della Commissione Europea delle attività dell’European year for skills 2023, un’iniziativa dell’Ue che nasce per aiutare le persone ad acquisire le giuste competenze per giungere a lavori di qualità, con attenzione alle crescita sostenibile e ad una transizione verde e digitale socialmente equa.

Il tema degli uffici coinvolge, dunque, diverse scale: dal cucchiaio alla città. E sulla città si sofferma Alessandro Panci, presidente dell’OAR. «Avere spazi direzionali ben concepiti all’interno di un patrimonio edilizio come il nostro – prosegue – significa anche conquistare quell’appetibilità che Roma deve continuare avere. È fondamentale indagare gli spazi di lavoro e di co-working, ma lo è altrettanto capire in che modo questi spazi, all’interno del tessuto cittadino, possano cambiare il volto della città sotto il profilo anche dell’innovazione», afferma il presidente.

«L’obiettivo di questo convegno è individuare degli strumenti e dei metodi di lavoro per arrivare ad una modalità di progettazione che sia volta al benessere del singolo e, allargando la scala, al benessere della collettività», spiega Roberta Bocca, vicepresidente OAR e delegata alla formazione, nonché coordinatore scientifico della giornata e moderatrice del convegno insieme a Maria Fabiani, practitioner-researcher e knowledge activist ed a Roberta Terzi, strategic foresight specialist . «Il termine benessere – prosegue Roberta Bocca – va riferito agli obiettivi del New European Bauhaus, includendo i concetti di sostenibilità, e quindi anche di circolarità nell’utilizzo delle risorse, di qualità estetica, di benessere ai diversi livelli, nonché di inclusione, comprendendo due aspetti che ne fanno parte: l’accessibilità e anche l’economicità di ciò che si va a progettare».

Carlo Ratti: «A New York gli uffici vuoti potrebbero riempire 26 Empire State Building»

Al culmine della crisi finanziaria gli uffici vuoti a New York si attestavano tra il 10 e il 15%, poi questa percentuale dal 2020 ha subìto un’impennata, raggiungendo un dato mai sperimentato prima. Stesso trend anche per Chicago e Los Angeles. Con un grafico che dà immediatamente la misura di un fenomeno in corso, Carlo Ratti, architetto, ingegnere e direttore del Senseable City Lab al Massachusetts institute of technology (Mit) di Boston, inizia il suo intervento. Segue il titolo di un articolo che lui stesso ha scritto per il New York Times insieme a Edward L. Glaeser, direttore del dipartimento di Economia di Harvard: «A New York gli uffici vuoti potrebbero riempire 26 Empire State Building».

«Ci sono dei grandi cambiamenti nelle nostre città, riguardano San Francisco, Boston, ma stanno avvenendo anche in Europa, in città come Londra, e anche in Italia. Questo avrà un grande impatto sul funzionamento e sull’organizzazione degli spazi delle nostre città, sui luoghi di vita e lavoro», prosegue Ratti. Ma quali conseguenze ha il mancato incontro in un luogo fisico, che sia di lavoro o di studio? Ratti lo spiega mostrando i risultati di una ricerca scientifica condotta dal suo gruppo presso il Campus dell’Mit. L’esperimento, basato su dati resi anonimi e sulle connessioni Wi-fi del campus, ha analizzato le reti sociali degli utenti, per capire con chi ciascuna persona si collegasse. Trascorsi tre mesi, la ricerca ha incontrato un imprevisto: l’inizio della pandemia e del lockdown ed allora, non essendo più possibile recarsi al campus, lo spazio fisico si è, come dire, annullato.

Ma per comprendere l’esperimento serve una parentesi: nella rete sociale di ogni persona ci sono legami deboli e forti. Il sociologo Mark Granovetter nel 1973 definì tali legami: quelli forti sono gli incontri costanti, frequenti, con le persone importanti della nostra vita; quelli deboli sono meno frequenti e si hanno con chi non vediamo spesso: conoscenti o persone incontrate per caso. Il legame debole «è un ponte tra le varie comunità», spiega Ratti. Granovetter ha scoperto che i legami deboli sono molto importanti, ci aprono una finestra su altri mondi, proiettandoci verso nuove opportunità, risorse e idee e ci aiutano a diventare più resilienti. «Quello che abbiamo scoperto – sottolinea Ratti – è che rimuovendo lo spazio fisico (a seguito della pandemia, nda), si perdono molti legami deboli». «La magia dello spazio fisico – prosegue il professore – ci permette di stabilire dei legami diretti, senza i quali si è meno legati alla diversità e si è raccolti in una propria bolla».

È come dire che l’assenza di spazio fisico ci impoverisce socialmente e culturalmente, e anche in termini di esperienza. Ed allora, sottolinea Ratti: «Bisogna trovare un equilibrio e dei nuovi modi per aumentare i legami e realizzare che le persone non vogliono più trascorrere l’intera giornata in ufficio, come facevano prima. Abbiamo quindi bisogno di nuovi modi per promuovere gli incontri». «Anche al Mit le persone non vogliono più venire al campus, bisogna cercare di essere migliori di una connessione internet. Occorre creare spazi ricchi di programmazione, noi dobbiamo tirar fuori le persone dalle case: invece di restare incollati allo schermo devono venire nei luoghi che progettiamo per vivere insieme ed aggregarsi», conclude Ratti.

Gli uffici secondo il concetto “building as a city”: la nuova sede Enel a Roma

Il progetto di trasformazione della sede direzionale di Enel in Via Regina Margherita a Roma, firmato dallo studio ACPV Antonio Citterio Patricia Viel, è un esempio di recupero di un edificio esistente (degli anni Sessanta). «Il progetto che «nasce da una competizione del 2018, ora è in costruzione ed è a buon punto», riferisce Florian Thorwart, partner dello studio ACPV Architects. Gli spazi interni, in origine molto frammentati, «sono stati del tutto riorganizzati perché non coerenti con la volontà di Enel di avere un approccio agile al lavoro». Tra gli spazi caratterizzanti, una grande lobby di ingresso, concepita come un importante e scenografico luogo di incontro. Seguendo il concetto di “building as a city”, l’edificio ingloba funzioni che non sono solo legate al lavoro, sono previsti, ad esempio: un asilo nido, uno spazio ristorante e persino una pista, in quota, per praticare lo jogging. Grande flessibilità di utilizzo per gli spazi di lavoro, utilizzati in modo diverso a seconda del lavoro da svolgere. Le facciate sono super-performanti e quella su viale Regina Margherita diventa l’occasione per creare una zona buffer che prevede la creazione di serre intese come spazi di incontro. Inoltre, la biofilia ha un ruolo chiave: il verde tecnico indoor è diffuso e si prevedono “isole” verdi di almeno 6 mq in modo da avere almeno 0,35 mq di verde interno per ciascuna workstation. Un progetto realizzato e gestito in Bim che ha tutte le carte in regola per ricevere la certificazione Leed Gold, assicura Thorwart.

Dal co-working agli spazi ibridi

Spazio alle best practice anche con l’hub LVenture alla Stazione Termini, uno spazio (9mila mq) che ospita start-up, spazi di co-working. A raccontarlo è Alexandra Maiorano, event manager di LVenture group. Chi entra nell’hub si trova all’interno di una sorta di ecosistema, dove poter scambiare competenze e aiuto reciproco. Al contempo, attraverso specifiche partnership, LVenture cerca di creare nuove opportunità per i residenti. Ecco allora che sono nati: un competence center di Meta (già Facebook), una scuola di programmazione della Luiss, un programma di accelerazione verticale sulla cybersecurity di Leonardo. Parole chiave: ibridazione e apertura al pubblico per, Palazzo Canova, sempre a Roma, un progetto realizzato e funzionante di ambiente polifunzionale, insediatosi nell’antico studio dello scultore Antonio Canova. A raccontare gli spazi, la loro storia e la voglia di apertura al pubblico, compreso quello dei bambini, è l’architetto Pasquale Piroso. L’edificio, oggi casa-studio dell’artista, Luigi Ontani, ospita atelier di artisti, uno studio di architettura, un’agenzia di comunicazione e le più svariate attività, culturali, formative e di lavoro.

Dall’intelligenza collettiva a un futuro fatto di cooperazione

Dopo aver analizzato l’intelligenza che da «soggettiva» nel Rinascimento, diventa «collettiva» con la Rivoluzione industriale, «interattiva» con la Rivoluzione digitale e «connettiva» con le Rivoluzioni «green», «blu» e «rosa», Paolo Anzuini, architetto, inventore, consigliere OAR, apre una finestra sul futuro: «Quale sarà la prossima rivoluzione? Sicuramente sarà sempre più importante la figura del people manager, non più deputata alla gestione del lavoro, ma alla gestione delle persone per caratteristiche, comportamenti e la conoscenza sarà alla base di tutto». «Cosa ci aspetta il futuro? Nel 2050 ci staremo organizzando tutti con l’ultra fast internet, saranno cruciali le persone: solo le persone possono inventare; non possiamo aspettarci che l’intelligenza artificiale generi invenzioni, l’attività inventiva è possibile solo da un punto di vista intellettivo-umano e quindi tutto ciò genererà, ancor più, cooperazione e start-up».

Nomadi digitali in chiave anti-spopolamento, Trinca: «Serve una visione»

«Oggi ci sono 35 milioni di nomadi digitali nel mondo – riferisce Flavio Trinca, architetto, vicepresidente dell’Aiapp (sezione Lazio Abruzzo, Molise e Sardegna) e componente del Comitato tecnico per la formazione dell’OAR – che cita un’inchiesta condotta dall’Associazione italiana nomadi digitali, dalla quale si evince che il 35% dei nomadi digitali vorrebbe fare esperienza in Italia, soprattutto nel Sud e nelle Isole e il 93% avrebbe interesse a soggiornare nei piccoli comuni italiani». «I nomadi digitali hanno un elevato grado di istruzione, molti hanno un dottorato o un master, e svolgono lavori che richiedono un alto grado di competenza», aggiunge. Sono soliti permanere a lungo nei luoghi, diversamente dai turisti, portando il loro contributo economico e di conoscenze. «Alcune regioni italiane – prosegue – hanno sviluppato progetti per incentivare l’arrivo di nomadi digitali e contrastare così il fenomeno dello spopolamento». Dunque, è chiaro che l’attrattività del nostro territorio potrebbe richiamare tanti lavoratori nomadi, ma, «è importante che i territori siano in grado di accogliere e per farlo devono essere coscienti di sé, soprattutto, ci vuole visione e occorre un progetto. Ma per farlo non bisogna pensare al nomade digitale come ad un turista occasionale», sottolinea ancora Trinca.

Parole chiave: inclusione e sostenibilità

Emma Tagliacollo, architetto, membro del Comitato tecnico per la formazione dell’OAR e segretario Do.Co.Mo.Mo Italia, apre una riflessione su com’è cambiata la domanda di architettura per le abitazioni da quando lo spazio in cui viviamo è diventato anche il luogo del nostro lavoro e su come gli uffici si sono evoluti, iniziando dall’ufficio di Walter Gropius, che risponde a un tipo di lavoro individuale o a piccoli gruppi, per proseguire con gli uffici Johnson di Frank Lloyd Wright dove si realizza uno spazio aperto, fino ai più moderni coworking e activity based office. E, nel futuro – afferma – «c’è il phygital workplace, dove da una parte abbiamo la componente fisica, ossia la presenza delle persone al lavoro e dall’altra una fortissima componente di tipo digitale». Ma ciò che è importante oggi è progettare gli spazi di lavoro con attenzione alle persone con esigenze speciali, come le persone autistiche o coloro che hanno problemi di vista o di udito, serve una progettazione inclusiva, perché è vero – afferma Tagliacollo – quanto espresso dalla «professoressa Magala Mostafa dell’American University del Cairo: Se si impara dai margini si progetta meglio anche per il centro».

Ilaria Montella, architetto e membro del Comitato tecnico per la formazione dell’OAR e ricercatrice dell’Università Roma Tre, si sofferma sul tema della sostenibilità. «L’auspicio – afferma – è che si inizi a guardare in modo critico ad alcuni esempi virtuosi, anche considerando ciò che ci chiede di fare il New European Bauhaus: ossia pensare a tre aspetti: la sostenibilità, con un occhio di riguardo verso la circolarità; la bellezza con un occhio di riguardo verso la qualità dell’esperienza; l’inclusione, pensando a progetti che siano accessibili ed economicamente affrontabili anche dalle persone meno abbienti». E, di esempi virtuosi Ilaria Montella ne illustra diversi, tra cui i progetti di co-working di SelgasCano ad Hollywood e in un ex mercato di Lisbona.

Ida Romano, dirigente dell’Istituto comprensivo Orsa Maggiore di Roma, introduce il tema dell’azione educativa che l’architettura può avere. «L’architettura spesso viene messa al margine, può, invece, essere protagonista del processo di apprendimento», afferma, presentando alcuni interventi messi in atto con entusiasmo e passione nella scuola che dirige. L’obiettivo è aderire ad una concezione più moderna e dinamica della scuola e andare oltre la classica lezione frontale. «L’aula va scardinata, va aperta, portando innovazione – prosegue – senza dimenticare che il bello predispone all’apprendimento».

I Piani urbani integrati come occasione di innovazione

Si soffermano sui Piani urbani integrati su cui la Città metropolitana di Roma Capitale sta puntando, Perluigi Sanna e Stefano Carta, rispettivamente vicesindaco e direttore del dipartimento Formazione e Pnrr della Città metropolitana. Si tratta di strumenti che permettono di tradurre – a livello locale – princìpi riconosciuti, come i sustainable development goals delle nazioni unite fino al green new deal, con l’obiettivo di apportare innovazioni in più campi: nei processi di partecipazione, nella governance, e anche sul fronte urbanistico e tecnico-infrastrutturale, puntando anche a una migliore compartecipazione e responsabilizzazione del privato nello sviluppo di progetti con la Pa. La Città metropolitana di Roma Capitale porta avanti cinque Pui. Due sono diffusi sul territorio metropolitano e tre sono puntuali. Quelli diffusi prevedono: uno la realizzazione di poli pubblici per lo sport, il benessere e la disabilità e l’altro la creazione di poli culturali (circa 70). Quelli puntuali prevedono: un polo della solidarietà a Corviale, il polo della salute e del benessere nel complesso di Santa Maria della Pietà e, infine, il polo della sostenibilità destinato a connettere il territorio di Tor Bella Monica con l’area dell’Università di Tor Vergata.

Per realizzarli, la Città metropolitana – come hanno spiegato Manfredi Valeriani e Christian Iaione della Luiss, Alfonso Giancotti, dell’Università La Sapienza e Fabrizio Finucci, dell’Università Roma Tre – ha creato un ufficio della scienza, che vede il coinvolgimento di diverse expertise afferenti alle tre università romane. Il coinvolgimento si è concretizzato nella costituzione di tre laboratori, già in azione, con compiti specifici per realizzare le innovazioni sia di processo che urbane, sfruttando la grande occasione dei Pui.

«I risultati finali della nostra conferenza saranno fonte di ispirazione per creare un mondo più sostenibile», è l’auspicio espresso da Tomasz Wolowiec, prorettore per le Scienze e la cooperazione internazionale della University of Economics and Innovation di Lublino.

di Mariagrazia Barletta

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