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Architettura
16 Marzo 2024

Mario Botta: 50 anni di carriera tra dedizione e rigore

Umiltà e dedizione al lavoro. Queste le caratteristiche unanimemente riconosciute a Mario Botta, architetto svizzero, durante il conferimento del Premio Piranesi alla Carriera 2023, alla Casa dell’Architettura.

Presenti ad omaggiare il Maestro e la sua florida professione, Alessandro Panci | Presidente OAR, Romolo Martemucci | Presidente emerito Accademia Adrianea, Monika Schmutz Kirgöz | Ambasciatrice di Svizzera in Italia, Marco Maria Sambo | Segretario OAR e Direttore AR Magazine, Pier Federico Caliari | Presidente Accademia Adrianea, Luca Ribichini | Professore di disegno Facoltà di Architettura Sapienza Università di Roma, Michele Bonino | Direttore Dipartimento di Architettura e Design Politecnico di Torino, Pierluigi Panza | Corriere della Sera, Claudio Strinati | Storico dell’Arte.

Visibile la commozione sul volto di questo uomo riflessivo e laborioso nel suo immenso valore, architetto rigoroso e consapevole del privilegio conferito dalla professione, ovvero quello di poter testimoniare qualcosa che va al di là dell’esistenza del progettista.

“Un atto etico, denso di responsabilità verso sé stessi e verso gli altri, per la consapevolezza che la propria attività trasforma per sempre la natura, divenendo un atto culturale”, così definisce il fare architettura.

Da qui l’impegno continuo di Botta, incessantemente rivolto al lavoro, tanto da sposarsi nel 1968, quando la facoltà di Venezia era occupata, per non perdere tempo. Esigente e rigoroso lo raccontano coloro che gli sono accanto, con la mente sempre indaffarata in un’opera di ingegno. Una moglie paziente e rassicurante accanto, che lo appoggia e segue nei suoi impegni, a cui probabilmente andrebbe parte di questo premio alla carriera.

“Ricevere un premio dedicato a Piranesi è per me un onore – spiega Botta – forse non sarei ciò che sono senza Piranesi, che più di altri ha disegnato, facendo dell’immaginario collettivo la sua ragione d’essere e di lavoro. È stato un folgorante esempio di complessità del luogo di vita, attraverso immagini che moltiplicano i punti di vista fino a determinare una sinfonia di spazi e visioni prospettiche impossibili da realizzarsi – e conclude – Tale premio induce a far correre l’immaginario al di sopra di funzioni, tecnica e gravità del costruire, per offrire ai visitatori una ricchezza fatta di luce e distribuzione di spazi finalizzati alla gioia di vivere”.

Mario Botta racconta sé stesso come il frutto degli incontri avuti nel tempo, soprattutto dei maestri, tra cui individua Carlo Scarpa, Louis Kahn e Le Corbusier.

Cinquant’anni di professione nata dalla rivelazione di un meccanismo magico: una linea tracciata su un foglio di carta si trasforma in costruzione reale con il lavoro delle maestranze.

E quanti gli elementi che Botta ha visto cambiare durante la sua carriera, ma uno su tutti fa la differenza: la committenza, che oggi si fa effimera rendendo più difficile l’aderenza del progetto al tempo in cui si colloca e la rispondenza alle necessità funzionali con cui ci si deve confrontare.

E così l’architetto svizzero, con il taschino sempre pieno di matite, assorbe e sintetizza in sé ogni insegnamento delle persone che incontra: da Carlo Scarpa acquisisce la sapienza nell’uso dei materiali, da Le Corbusier la capacità di trasformare eventi in architetture e da Louis Khan il valore del passato come luogo di memoria, amico del progettista e contraltare dell’imperante sviluppo tecnologico.

Forte l’identità insita nell’essere di Botta, tanto da impedirgli di seguire Khan lontano dal Ticino e da essere considerato un ambasciatore della Svizzera nel mondo, non solo per il suo lavoro, ma per il suo incarnare i valori dell’intero Paese.

“Costruire è un’arte sacra” ripete spesso Botta che con la dedizione di una vita si conquista questo premio alla carriera, per un’idea di architettura che si arricchisce del valore della fatica degli artigiani e manovali come opera costruita. Un processo che non dimentica il passato ed il presente perché “camminiamo su una città costruita dai morti”, ama ripetere.

Il rigore si manifesta nelle sue opere principali in cui la geometria e i volumi puri si alternano a netti spazi vuoti, prediligendo il mattone in cotto o la pietra che mettono a nudo l’essenza e la veridicità del materiale stesso, esaltato da un sapiente studio della luce. Forme arcaiche la cui semplicità è sinonimo di riconoscibilità.

In questa forte connessione temporale tra passato, presente e futuro, “Ad un giovane architetto direi: Coraggio!!!” – interviene Botta – Finché non ci si spinge alla ricerca della qualità dello spazio, si è condannati a vivere in una routine, che fa male all’intelligenza”.

Intervista a Mario Botta:

Intervista a Franco Purini:

Intervista a Monika Schmutz Kirgoz:

Intervista a Luca Ribichini:

Intervista a Pier Federico Caliari:

Intervista a Romolo Martemucci:

di Giulia Villani

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