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Sostenibilità
11 Febbraio 2024

I dati satellitari per controllare le isole di calore: nasce un plugin utile per progettisti e amministratori

Gli esiti del progetto, che vede protagonisti l'Agenzia Spaziale Italiana e il Politecnico di Milano, saranno presentati durante il convegno del 23 febbraio organizzato dall'Ordine degli Architetti di Roma e Provincia. L'intervista a Deodato Tapete, ricercatore ASI, che anticipa i contenuti dell'applicativo, uno strumento grazie al quale sarà possibile monitorare l'andamento delle temperature urbane per pianificare efficaci interventi di mitigazione

Utilizzare i dati satellitari per conoscere quale effetto la struttura fisica della città, l’uso del suolo e la presenza del verde hanno sul microclima. Analizzare e mappare il fenomeno dell’isola di calore urbana per poter intervenire con azioni di mitigazione, con progettazioni a impatto positivo sul clima e capire – alla micro-scala – quale effetto i cambiamenti climatici hanno sulle città. Il tutto inserendo anche la dimensione tempo che consente di rilevare i cambiamenti che gli interventi progettuali, attuati a livello urbano, inducono sul microclima e sull’effetto isola di calore. Sono questi i principali obiettivi del progetto LCZ-ODC che vede in prima linea l’Agenzia Spaziale Italiana. L’ASI, in collaborazione col dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano, ha avviato uno studio sperimentale con l’obiettivo di mettere in correlazione le Local Climate Zone con la temperatura dell’aria nella città metropolitana di Milano, integrando dati geospaziali e tecnologie di osservazione della Terra in ambiente Open Data Cube.

Un progetto che parte in via sperimentale su Milano, ma che in futuro potrà trovare applicazione in altre grandi città, tra cui Roma, e che ha come punto di approdo lo sviluppo di un applicativo, tassativamente open source, che progettisti, pianificatori e pubbliche amministrazioni potranno utilizzare a supporto della progettazione e realizzazione di interventi che vanno dalla singola architettura alla riqualificazione urbana o alla stesura di un masterplan, avendo contezza degli effetti che questi hanno sul microclima. Il progetto sarà presentato durante il convegno, organizzato dall’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia, che si terrà venerdì 23 febbraio presso il complesso monumentale dell’Acquario Romano, sede dell’OAR (qui il programma dell’evento).

Punto di partenza del progetto sono le Local Climate Zones (LCZ), ossia una suddivisione in classi del suolo urbano sulla base dell’intensità dell’isola di calore, che prende in considerazione le caratteristiche morfologiche dell’edificato (densità urbana, altezza, tipologia e disposizione degli edifici), le proprietà chimico-fisiche e termiche delle superfici e la copertura del suolo (permeabile, pavimentato, compatto). A raccontare i dettagli, anticipando i temi che saranno approfonditi durante il convegno, è Deodato Tapete, ricercatore dell’Agenzia Spaziale Italiana e responsabile del progetto LCZ-OCD insieme a Mario Siciliani de Cumis.

Dottor Tapete, qual è l’obiettivo del progetto LCZ-ODC e perché è importante identificare le Local climate zones?

Il progetto LCZ-ODC punta a dimostrare che utilizzando i dati satellitari è possibile capire un aspetto che ormai è piuttosto conosciuto ma che non è di facile caratterizzazione, ossia qual è la relazione che si viene a stabilire tra la struttura fisica della città, l’uso del suolo e il microclima. Sappiamo che l’urbanizzazione comporta l’introduzione di materiali che alterano le proprietà di assorbimento, riflessione e trasmissione della superficie terrestre rispetto all’irradiazione solare e ciò comporta cambiamenti della temperatura e, più in generale, del microclima locale. Il progetto LCZ-ODC mette a frutto la conoscenza, ormai abbastanza consolidata, di come vanno caratterizzate le diverse aree edificate, cioè, differenziando tra quelle che sono più verdi da quelle che sono invece altamente cementificate e urbanizzate. Rispetto a ciò aggiungiamo un’innovazione che sono i dati satellitari che oggi ci permettono di fare una caratterizzazione non solo estesa a tutta la città, ma anche ripetuta nell’arco della stessa stagione, nonché in più stagioni e anni. L’obiettivo è quindi caratterizzare l’isola urbana di calore però mettendo in correlazione l’influenza che la città, con la sua struttura, ha sul microclima e quindi sull’effetto conseguente dell’isola urbana di calore.

Perché è utile che le osservazioni si ripetano nel tempo?

Le città sono in trasformazione: si costruiscono nuovi edifici, si realizzano progetti di rigenerazione e i diversi interventi urbani possono avere degli effetti a livello microclimatico. Per mettere in relazione le trasformazioni urbane con i conseguenti cambiamenti del microclima abbiamo bisogno di documentare tali variazioni e per farlo dobbiamo ripetere le osservazioni. I satelliti in questo ci aiutano. Noi in LCZ-ODC ne usiamo di due tipologie, uno è la costellazione Sentinel-2 del programma europeo Copernicus, gestito dall’Agenzia Spaziale Europea, e uno è un satellite, tutto italiano, denominato PRISMA e gestito dall’Agenzia Spaziale Italiana. Entrambi, con modalità differenti, possono acquisire immagini a distanza di alcuni giorni. Quando acquisiamo una serie di immagini, ripetutamente nel tempo, possiamo vedere gli effetti a scala cittadina di eventuali trasformazioni. Il vantaggio è dare un’informazione dinamica che speriamo le città possano utilizzare nell’implementare i propri masterplan, nel progettare interventi di rigenerazione urbana, con l’obiettivo di ottenere benefici sul clima. Ripetendo le acquisizioni satellitari e quindi la generazione delle mappe derivate delle Local Climate Zones, anche laddove non ci sono cambiamenti al livello costruttivo, è possibile rilevare cambiamenti di tipo climatico.

Il progetto, partito in via sperimentale su Milano, è utilizzabile anche in città come Roma?

Questo progetto fa parte di un programma dell’Agenzia Spaziale Italiana che si chiama Innovation for Downstream Preparation for science (I4DPScience): applichiamo aspetti innovativi delle tecnologie satellitari e geospaziali a dei casi d’uso, come la città metropolitana di Milano, ma con il chiaro intento che questa azione sia dimostrativa di un’applicazione che può essere esportata. Questo aspetto lo abbiamo già esplorato nella fase iniziale del progetto durante un evento, a cui ha partecipato anche l’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia, dove non erano presenti solo gli utenti interessati al caso studio sulla città metropolitana di Milano, ma abbiamo anche altri utenti, come la Regione Toscana, l’ARPA Friuli Venezia-Giulia e l’ARPA Lazio, per aprire un tavolo di discussione e capire come le diverse realtà regionali, comunali e tecniche, possano beneficiare in futuro di questa esperienza. Quindi sì, l’intenzione è che in una fase successiva gli algoritmi e gli applicativi – che peraltro sono tutti sviluppati in open source dal gruppo di ricerca GIS GEOLab di Maria Antonia Brovelli, docentedel Politecnico di Milano, e saranno liberamente accessibili – possano funzionare da prototipo per analoghi applicativi da applicare, per esempio, al caso della città metropolitana di Roma.

In concreto, cosa verrà messo a disposizione sulla piattaforma?

Verrà intanto messo a disposizione un plugin installabile in QGIS, quindi nella versione open source più comune dei software di Geographical Information System, che con pochi passi consente di scaricare i dati di temperatura messi a disposizione da ARPA Lombardia. Inoltre, verranno rese accessibili le sequenze di codici già scritte in Python che consentono l’elaborazione e l’integrazione delle immagini multispettrali di Sentinel-2 e iperspettrali di PRISMA per la generazione delle mappe delle LCZ da porre poi in correlazione con le misure di temperatura. Dunque, da una parte grazie ai satelliti otteniamo la distribuzione della struttura della città, dall’altra abbiamo i dati di temperatura e quindi facciamo un’analisi combinata per capire la correlazione che si pone tra la struttura e la morfologia della città e la distribuzione delle temperature.

Qual è quindi l’utenza di riferimento di questo progetto?

Oltre alla comunità scientifica e accademica che si occupa di queste tematiche, sono le amministrazioni, ma ancora di più i professionisti di settore. In questi primi eventi che abbiamo fatto coinvolgendo i potenziali utenti, cui ha partecipato anche l’OAR, abbiamo avuto anche un confronto con architetti e ingegneri, ossia con coloro che nella loro pratica professionale possono essere chiamati a fare dei progetti, per esempio, di efficientamento energetico e che in futuro potrebbero utilizzare le informazioni e gli strumenti dedicati a supporto delle loro valutazioni. La stessa cosa è emersa nelle consultazioni con ARPA e Regione Lombardia, Fondazione Lombardia per l’Ambiente, Fondazione Osservatorio meteorologico Milano Duomo ETS, ARPA Lazio, ARPA Friuli-Venezia Giulia e Regione Toscana. Dunque, l’obiettivo di lungo termine è che questi strumenti possano diventare utili sia per gli uffici tecnici delle amministrazioni sia per i professionisti di settore.

Guardiamo al futuro: quale prospettiva intravede riguardo all’uso delle tecnologie di osservazione della Terra come strumento per la pianificazione delle nostre città?

Il futuro lo vedo molto roseo perché parto dalla realtà di fatto: i dati di osservazione della Terra sono già all’interno di molti flussi operativi e professionali di chi deve pianificare il territorio e incidere sulla gestione delle città. Ad esempio, la Regione Toscana ha un ufficio cartografico che utilizza dati di osservazione della Terra, anche satellitari, proprio per la conoscenza, rappresentazione e pianificazione del territorio. Non dimentichiamo inoltre che molti comuni, anche con la tecnologia più comunemente accessibile delle immagini Google Earth, sono riusciti ad avere una migliore conoscenza dell’urbanizzato del proprio territorio e quindi uno strumento anche per fronteggiare, in tempi recenti, la piaga dell’abusivismo edilizio. Ciò che sicuramente renderà fattibile l’utilizzo di queste tecnologie satellitari, che sono ben più evolute della consultazione di una semplice immagine satellitare ottica, è la formazione. È noto che anche le pubbliche amministrazioni dotate di un ufficio tecnico e di personale hanno spesso il problema della formazione e tante volte questa formazione specialistica può avvenire solo se c’è una sinergia con chi è, nel nostro sistema Paese, il segmento deputato alla formazione, ossia l’università. Peraltro, i dati satellitari vengono utilizzati molto spesso anche a fini di prevenzione, penso, ad esempio, al rischio idrogeologico nelle città con il supporto specialistico qualificato dei geologi. In questo caso si utilizzano tecnologie satellitari diverse, ma che messe insieme a quelle che stiamo vedendo nel progetto LCZ-ODC, ci mettono di fronte ad un approccio olistico.

Dunque, il punto centrale per un futuro di successo delle nuove tecnologie è la formazione?

La chiave è la formazione e cercare di fare sistema, tante volte la soluzione per un problema può essere risolutiva anche per un altro problema. Le città vanno viste nella loro organicità. E credo che su questo gli architetti abbiano un ruolo centrale, perché oltre ad essere degli esperti tecnici, sono anche la categoria professionale che ha la maggiore sensibilità nel coniugare le esigenze di una progettazione funzionale con una progettazione esteticamente di qualità. Si tratta di avviare un percorso (e laddove già esistente, rafforzarlo) per importare queste innovazioni all’interno dei programmi formativi sia delle Università sia degli Ordini professionali, attraverso la formazione continua.

di Mariagrazia Barletta

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