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Architettura
08 Maggio 2020

Post Covid19. Paolo D’Addato (Bat): «Generare nuovi modelli, dall’abitare al paesaggio»

di Redazione OAR

Ridefinire gli assi portanti dell’attuale modello di sviluppo per città e territori. Seguendo con sempre maggiore convinzione la strada della ecosostenibilità, trasformando i tessuti urbani in sistemi aperti e virtuosi, puntando sulla qualità dei progetti, anche attraverso lo snellimento burocratico e l’utilizzo di strumenti come il concorso di progettazione. Dovrebbe essere questa l’eredità dell’emergenza Coronavirus secondo Paolo D’Addato, presidente dell’Ordine degli Architetti PPC della provincia di Barletta Andria Trani (Bat).

«L’emergenza Covid19 ci ha privati di beni primari su cui si fondano le nostre abitudini – spiega -: ci siamo resi conto di quanto strade e piazze siano luoghi che materializzano il senso profondamente umano e il bisogno delle persone di stare insieme. Questa crisi ci ha insegnato tante cose: molti pensano alle fasi successive sperando che tutto torni come prima. Personalmente, invece, vorrei che le cose cambiassero». In che modo? «Mi auguro che questo periodo ci abbia dato l’opportunità di comprendere al meglio gli errori alla base del nostro modello di sviluppo e di evolvere con coraggio verso il futuro. L’emergenza globale ci ha mostrato come la natura possa fermare il nostro stile di vita in poco tempo per una causa – come un virus – invisibile ad occhio nudo».

Il contributo degli architetti, in quest’ottica, potrà essere fondamentale. «Da sempre gli architetti sono stati in grado di generare modelli dell’abitare e hanno influito sul benessere delle persone attraverso la trasformazione del paesaggio, del territorio, delle città, la costruzione degli edifici, la progettazione degli spazi di vita, il design degli oggetti di uso comune».

Al centro della riflessione sul futuro dovrà esserci il concetto di sostenibilità ambientale. «Mi piacerebbe, ad esempio – afferma D’Addato -, che dopo la crisi gli architetti riuscissero a pensare alle materie prime in modo diverso, utilizzando con parsimonia materiali come il cemento, il metallo, i mattoni, che hanno lasciato segni indelebili sul territorio. Che immaginassero le architetture pensando a una loro futura decomposizione più che demolizione. Che partecipassero al radicale ripensamento delle costruzioni e delle città, per trasformare gli insediamenti urbani in sistemi aperti e virtuosi, in grado di reagire ai cambiamenti, sia climatici che sociali. Chi meglio degli architetti potrà aiutare la società a ridisegnare spazi e luoghi in cui rispecchiarsi?».

Per quanto riguarda gli ordini professionali, infine, la loro missione dovrà essere quella di «spingere per uno snellimento delle norme e della burocrazia, a livello urbanistico e del codice appalti, ma anche di incentivare l’utilizzo del concorso di progettazione come unico strumento indispensabile per la realizzazione delle opere pubbliche».

(FN)

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