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Pianificazione
16 Marzo 2023

Riprendiamo a immaginare la forma della città: il ruolo degli architetti nella rigenerazione del tessuto urbano di Roma 2030 – 2050.

Il convegno “Nuove forme urbane per una Metropoli-Capitale” ha analizzato i modelli virtuosi di sviluppo dei grandi agglomerati, formulando spunti strategici per Roma.

Pianificazione incrementale, progettazione dal basso, partenariato pubblico – privato: emerge la necessità di una stretta interazione fra tutti i soggetti coinvolti nel processo di ideazione della città, dall’incontro che martedì 14 marzo ha inaugurato la serie di eventi del ciclo “Roma Città delle Città 2030-2050” alla Casa dell’Architettura / Complesso monumentale dell’Acquario Romano. Nell’ambito del convegno intitolato “Nuove forme urbane per una Metropoli-Capitale”, i contributi dei singoli relatori hanno disegnato una prospettiva per la Roma del futuro che, anche alla luce dei prossimi appuntamenti fissati dal Giubileo 2025 e dai programmi cadenzati del PNRR, dovrebbe finalizzare gli interventi, rendendoli quanto più possibile sistemici, e riferirli alle specificità di un contesto in cui le disuguaglianze sociali sono specchio delle diverse fisionomie assunte dalla città nei suoi quadranti.

La vocazione di Roma civitas

Pensare a un nuovo paradigma per Roma – come ha evidenziato Luca Ribichini, Presidente Commissione Cultura Casa dell’Architettura Ordine degli Architetti di Roma (OAR), introducendo i lavori – presuppone individuare la vocazione della Capitale per i prossimi decenni e attingere al concetto di civitas, nel senso dell’appartenenza dei cittadini a una comunità. Riscoprendo questa dimensione, progettare la città equivale ad avere cura e rispetto per le esigenze di chi la abita, e usufruisce di servizi e infrastrutture. Le istanze dell’urbanistica, inoltre, devono costantemente relazionarsi con la disponibilità di risorse economiche messe a disposizione dagli Amministratori pubblici e/o da iniziative che coinvolgano anche investitori privati: a questo proposito, Susanna Tradati, membro Commissione Cultura Casa dell’Architettura e coordinatrice scientifica del convegno, ha sottolineato la necessità che, al di là delle forme di partenariato dei progetti, gli interventi di trasformazione siano strutturali e vengano implementati a lungo termine.

Urban center: partecipazione e confronto culturale

Tradati si è fatta promotrice della apertura di una discussione sul ruolo dell’urbanistica e di un confronto con l’Amministrazione capitolina nello sforzo di “rilanciare lo sviluppo a medio e lungo termine per Roma” con due orizzonti temporali: il 2030, legato a progetti in parte già avviati, e il 2050, “sulla Città Metropolitana, per costruire una ipotesi di città policentrica”. Il fulcro di tale dibattito dovrebbe diventare la Casa dell’Architettura, come luogo fisico e virtuale in cui lavorare sul progetto urbano senza paura di introdurre la contemporaneità, per superare la forma di città che Argan e Sartogo nel 1978 definirono interrotta “perché abbiamo smesso di immaginarla”.

Dal 2003, anno della sua istituzione, la Casa dell’Architettura OAR sviluppa le proprie attività, in collaborazione con l’Amministrazione e con altri enti di cultura, per qualificare Roma come Capitale dell’Architettura, creare uno spazio di confronto con altre discipline, dare vita a un laboratorio di idee, promuovere la cultura della città. Una costola fondamentale è lo Urban Center con cui – ha ricordato Francesco Aymonino, Vice presidente OAR – “si vuole realizzare un luogo fisico di partecipazione dei cittadini ai progetti della città”. “Rigenerare Corviale” e “Contratto di fiume Tevere” sono esempi concreti di questo coinvolgimento, mentre le iniziative collegate al PNRR, che dovrebbero essere sempre discusse con la cittadinanza, spesso vengono sottoposte agli abitanti delle aree interessate solo dopo il completamento.

Riferimenti internazionali per la Metropoli Capitale

Il confronto sui temi centrali del convegno “Nuove forme urbane per una Metropoli-Capitale” si è articolato nella sessione intitolata “Tavolo Roma”, a cui hanno preso parte, sollecitando la riflessione sull’urbanistica da punti di vista differenti legati alle rispettive esperienze, Richard Burdett, urbanista professore di Architettura e Studi Urbani presso la London School of Economics, Francesco Rutelli, Presidente ANICA e sindaco di Roma per due mandati (1993-2001), Carlo Cellamare, professore ordinario di Urbanistica presso Sapienza Università di Roma, Maurizio Veloccia, Assessore all’Urbanistica – Roma Capitale.

Raccontando le trasformazioni di Londra, Richard Burdett ha evidenziato l’impatto che i flussi demografici hanno sulla crescita dinamica delle città, la cui forma può essere preservata attraverso l’individuazione di un limite – come la green belt che circonda la capitale britannica – entro il quale concentrare gli interventi per trasformare la metropoli e ridurre le disuguaglianze tra centro e periferie. Il lavoro degli urbanisti e degli amministratori pubblici londinesi si è rivelato efficace, anche in occasione della realizzazione degli impianti per i Giochi Olimpici 2012, perché le decisioni sono state orientate verso opere in grado di attrarre investimenti, nelle cosiddette  “Opportunity & Intensification Areas”, e la visione progettuale si è estesa fino ad abbracciare la fase successiva all’evento sportivo, programmando l’uso delle strutture lasciate in eredità dalle Olimpiadi ai cittadini.

Francesco Rutelli ha indicato la Barcellona del Sindaco Pasqual Maragall, come riferimento dei provvedimenti approvati in relazione alla progettazione della città durante i suoi mandati come Primo Cittadino, sottolineando che, in virtù della Variante urbanistica risalente alla metà degli anni ’90, due terzi del territorio di Roma sono stati preservati. Interpretando la coincidenza delle scadenze di Giubileo e PNRR con gli step fissati dalla Unione Europea per la riduzione delle emissioni entro il 2030, e con i grandi obiettivi internazionali riconducibili al 2050, Rutelli intravede uno stimolo alla qualità del lavoro di architetti e urbanisti nella necessità di privilegiare il recupero delle strutture esistenti rispetto alla espansione edilizia, a patto di creare “un sistema di programmazione e realizzazione delle trasformazioni”.

Le periferie al centro della Città di città

A Roma, come a Londra e nelle altre grandi capitali, i quartieri più lontani dal centro, comprendendo le aree di espansione e richiedendo integrazioni di infrastrutture, sono cruciali nello sviluppo urbanistico. L’esperienza del gruppo multidisciplinare di ricerca guidato da Carlo Cellamare riguarda progetti di valorizzazione dei quartieri periferici, a partire dalle risorse territoriali, umane ed economiche che si propongono “dal basso”. Tor Bella Monaca, Quarticciolo, Centocelle: “Roma è le sue periferie. La maggior parte dei cittadini vive nella periferia, consolidata ed estesa. (…) Il primo punto per un programma 2030-2050 è considerare queste periferie come pezzi di città”. Un contributo essenziale alla riduzione delle disparità tra centro urbano e zone limitrofe proviene da comitati, associazioni, cooperative sociali, fondazioni, enti che operano nel settore intermedio, non solo territoriale, come le organizzazioni sindacali. A queste realtà si possono affiancare nuovi soggetti creati ad hoc (come le cooperative di comunità).

Tirando le fila del dibattito su “Roma città poliedrica, città policentrica”, Maurizio Veloccia ha ribadito che l’idea di Roma 2030-2050 non può prescindere da un modello urbano ripensato, evidenziando come sia sfuggita l’opportunità di sfruttare gli strumenti già disponibili per “immaginare una città che torni a crescere”. “Il Piano regolatore di Roma ha anticipato alcuni temi attualissimi: centralità, salvaguardia ambientale, città storica, unicità di Roma, ‘cura del ferro’ (…) All’epoca si era convinti che si sarebbe realizzato un vero decentramento nella gestione della Capitale”. La visione futura di Roma si fonda sull’equilibrio tra città e campagna circostante, con “una nuova centralità che rilanci le zone periferiche e trasformi le aree verdi, rendendole effettivamente fruibili”. Auspicando una maggiore flessibilità nei cambi di destinazione d’uso delle aree, per favorire anche gli investimenti di privati, Veloccia individua negli Ordini professionali gli interlocutori con cui confrontarsi sullo sviluppo della città e attribuisce ai progettisti un ruolo determinante della riparazione del sistema complesso di Città delle città. “Gli architetti devono aiutare a rigenerare, non solo a riqualificare il tessuto urbano [di Roma]”.

Roma 2030-2050: le proposte degli architetti romani

La seconda tavola tematica del convegno sulle “Nuove forme” per la trasformazione urbanistica della Capitale ha coinvolto progettisti impegnati in iniziative che interessano diverse zone di Roma, dal centro fino alle aree verdi periferiche. Paolo Mezzalama, che con It’s sta studiando il settore compreso tra Portonaccio, Casal Bertone, Verano, Stazione Tiburtina e Pietralata, sostiene la necessità di elaborare il modello futuro per Roma integrando le sue peculiarità. “Sicuramente la bassa densità, che è sempre stata vista come una criticità, ed è una criticità, ma anche un valore. (…) Altro grande elemento di riflessione è il rapporto con il fiume (…) una delle infrastrutture più dimenticate della città, un vero e proprio corridoio ecologico”. Lucia Catenacci di Obicua invoca la collaborazione con le Amministrazioni pubbliche e, per realizzare lo sviluppo futuro della Metropoli Capitale, immagina “la creazione di diverse aree ad alta specializzazione, che possano rappresentare motivo di attrattiva per investitori e imprese”.

Il verde è un tratto distintivo della Roma attuale, come ha sottolineato Francesco Cellini, vice presidente Accademia Nazionale di San Luca, e, a maggior ragione, può diventare strategico nei prossimi venti anni, all’interno di piani che inneschino le potenzialità del territorio, con ricadute sociali ed economiche, oltre che urbanistiche. Guendalina Salimei di TStudio ha posto il focus sugli Ambiti strategici, come aspetti innovativi del Piano Regolatore del 2008: “Ambiti strategici sono il fiume e le mura, due grandissime infrastrutture. Le mura, uniche al mondo, e il fiume, una grande risorsa della città, potrebbero diventare due grandi spazi pubblici che innervano tutta Roma”. Maria Laura Clemente di Labics, infine, ha auspicato che la pianificazione si svolga su una doppia scala, a livello urbano e metropolitano, con progetti specifici che discendono da un disegno di più ampio respiro: “per la sua storia, per la sua struttura formale, Roma è una città costituita da bordi, è fatta di isole, e su questo bisognerebbe costruire una sua strategia metropolitana”.

di Testo: Francesca Bizzarro | Foto e videointerviste: Francesco Nariello | Video Editing: Giuseppe Felici

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