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Architettura
28 Luglio 2021

Spam2021. Culture – Dialogo tra forma funzione, analogico e digitale, urbanistica ed architettura

Immaginari e scenari urbani che disegnano nuove idee di futuro, paesaggi, e poi ancora turismo e ricerca. Tutto è cultura nel dibattito aperto su come ripartire dopo un anno e più di stop forzato.

Numerosi gli scenari aperti nella quinta giornata di Spam2021 dedicata a capire l’essenza della cultura progettuale per rilanciare il ruolo dell’architetto, come protagonista delle azioni di Restart.

Salerno sceglie le grandi firme

A partire dalla città di Salerno che ha cercato negli ultimi anni di reinventarsi come città all’avanguardia, capace di trovare la chiave giusta per affacciarsi sul panorama internazionale tra gli agglomerati urbani più significativi del Mediterraneo.

Occasione di confronto è stata la presentazione del libro Urbanscape di Emilia Antonia De Vivo architetto e giornalista che interseca viaggi ed architetture, alla presenza dell’assessore all’Urbanistica del Comune di Salerno, Domenico De Maio.

Con tenacia la città campana ha perseguito la strada delle grandi firme (da Gau Arena architetti a David Chipperfild Architects, da Zaha Hadid Architects a Ricardo Bofill) per guadagnare l’attribuzione di un’immagine internazionale, scelta politica che si discosta da quella di altre città che si sono affidate allo strumento concorso di progettazione, optando per una “democrazia progettuale” come più volte evidenziato anche nell’ambito di Spam e sottolineato dall’impegno di numerosi Ordini, Roma in primis.

“Salerno è una città da 150mila abitanti che ha affrontato il tema della trasformazione urbana partendo da una visione e dal coraggio necessario nell’invitare architetti come Oriol Bohigas a redigere il piano di massima – racconta Domenico De Maio, assessore all’Urbanistica – guardando al domani abbiamo bisogno di rilanciare il tema dell’acqua anche ai fini turistici e su questo ci giochiamo il futuro”.

Dal dibattito sulla cultura delle città emerge una forte necessità di ripensare, non solo l’architettura a cui va restituita la dignità di arte con valore morale, ma anche l’urbanistica che si nutre di strumenti di pianificazione non più attuali. Potrebbe un progetto ben definito e realizzato generare dei benefici al contorno più consistenti delle ricadute di piani urbanistici rimasti inoperanti per anni?

Architettura e comunicazione nel vortice della digitalizzazione

La velocità è un elemento che si insinua impetuosamente nella quotidianità e l’architettura, per sua stessa identità definitiva, deve trovare gli strumenti per essere al passo con i tempi e per comunicare. Strumenti di pianificazione e attuazioni agili sono indispensabili per progetti realizzati in tempi tali da non risultare anacronistici appena dopo il collaudo.

Contribuisce ad un’accelerazione sfrenata anche la comunicazione, che sempre più cammina a fianco dell’architettura e della percezione che il mondo ha di essa. I progetti vendono pubblicati sui social, non più su riviste specialistiche. Si chiama evoluzione, che anche se per qualcuno non è sinonimo di miglioramento, è comunque parte della cultura del momento.

“Quanto tempo dedicate ai testi scritti in forma tradizionale? Il mondo è sempre lì per precipitare secondo la generazione precedente, ma siamo ancora qui. Ogni forma di comunicazione ritiene di essere quella assoluta. La realtà cambia e l’architettura con essa – spiega Luigi Prestinenza Puglisi, critico di architettura – Le persone oggi rivendicano la parola. Qualunque intervento è interessante sui social, anche i post più deliranti hanno un fondo di autenticità. Non esiste più il depositario della verità, ma solo i portatori di pensieri personali. Sono cambiati i pesi della cultura: un tempo i direttori delle principali testate di architettura erano capaci di orientare lo sviluppo culturale della progettazione. Oggi i più non ne conoscono i nomi”.

La sfumatura dei confini e del valore delle cose è dovuta anche alla rampante cultura digitale che, a dire del professor Domenico De Masi, sta facendo molta strada, tanto da creare un solco tra digitale e antropologico, che ha superato la vecchia dicotomia tra scientifico ed umanistico.

L’architettura si sposta dunque dai livelli aulici per inserirsi nel dibattito quotidiano e alla portata di tutti.

Il progresso tecnologico e la diffusione della cultura ben lontana dalla versione oligarchica antica hanno confuso il valore del sapere con influenze momentanee ed effimere.

“La streetart è cavalcata dalle amministrazioni spesso scambiandola per rigenerazione urbana. Prima l’Ufficio decoro cancellava queste forme d’arte, ora la città ha bisogno di sorprenderci e cerca ogni mezzo” spiega Giorgio De Finis, antropologo, artista e curatore indipendente.

“La verità delle forme d’arte è nella verità”, risponde Roberto Grio, Direttore Spam 2021.

La dignità dell’architettura

Dalla velocità all’interdisciplinarietà: molti i temi accostati all’architettura che di essi deve nutrirsi per non essere considerata arte che fagocita territorio vergine e puro. Un pensiero critico moralistico e capillare che spesso imprigiona la cultura progettuale in rigide categorie.

“L’architettura è artificio che viene oggi contrapposta all’ecologia. Molte le crisi ambientali che l’umanità ha attraversato – osserva Alessandro Melis, curatore del Padiglione Italiano alla Biennale Architettura 2020, full professor di architettura ed il primo endowed chair del New York Intistute of Technology – Si può immaginare un’architettura intrinsecamente sostenibile, il che non ha nulla a che vedere con il ricoprire gli edifici di piante. Anche un mattone può essere ecologico. Se un materiale ha impiegato troppo tempo ad arrivare da noi, c’è un disequilibrio”.

“Due gli edifici che hanno segnato il concetto verde dell’edificato. La Cantina Antinori di Archea che con intelligenza paesaggistica ha nascosto la costruzione per esaltare la strategia di camuffamento e il bosco verticale di Stefano Boeri diventato trademark e landmark. Oggi non c’è progetto se non tinto di verde”, interviene Prestinenza.

Solo la strategia ecologica può redimere l’architetto che, nel momento in cui costruisce, crea ecomostri e cementifica il territorio. Utilizzare la vegetazione come passaporto per non suscitare l’odio della gente contro l’architettura.

Una scienza schiacciata tra tecnica e tecnologia, privata del suo ruolo sociale è la visione di Giulia De Apollonia, fondatrice di Officina di Architettura e architetto che ha lavorato in Portogallo per poi fondare ABDA srl con Camillo Botticini: “In Italia gli architetti si devono ritagliare uno spazio morale che li porti oltre il mettere il vestito ad una struttura realizzata dall’ingegnere. È un problema di cultura che in Portogallo non c’è”.

Architettura tra forma e funzione

Non si può prescindere dal dibattito tra forma e funzione, che da sempre ha interessato le menti critiche di chi ha cercato di indagare con l’intelletto il significato ultimo dell’architettura.

“Il tema della cultura dell’architettura è delirante perché oggi tutto è ridotto ad edilizia, ovvero calcolo, normativa e funzione – spiega Renato Rizzi, architetto e professore di progettazione architettonica presso lo IUAV di Venezia – Siamo archè, dimensione indomabile da cui deriva il sapere tutto e techne, modo di vedere il mondo dove tutte le cose sono separate e sotto dominio di io”

Nonostante la dicotomia e la supremazia della forma sulla funzione per non scadere nel tecnicismo, il progettista deve sempre mantenere un dialogo serrato con chi usa i suoi spazi. È la società stessa che ha demandato all’architettura il compito di modellare quello spazio: non è il medico a progettare un ospedale e non è il professore a disegnare la scuola.

“La forma, in tutte le sue accezioni, è stata oggetto e soggetto dell’ambizione degli architetti che avevano compreso l’importanza dell’archè. È la lotta del progettista per afferrare il principio primo. Ogni committente sa che dopo otto anni un progetto scade. La forma deve essere adeguata ad una variabile dipendente che è la funzione e che cade continuamente”, interviene Orazio Carpenzano, Preside della Facoltà di Architettura di Roma.

di Giulia Villani
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