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Architettura
06 Maggio 2020

Post Covid19. Amedeo Margotto (Verona): «Dare risposta sinergica a domanda di cambiamento»

di Redazione OAR

Le sfide della sburocratizzazione e della semplificazione normativa. La qualità del progetto come obiettivo da perseguire. La necessità, da parte degli architetti, di saper rispondere in modo sinergico alle richieste di cambiamento: quelle dettate dalla situazione attuale ma anche quelle manifestatesi già da tempo. È una sintesi del pensiero di Amedeo Margotto, presidente dell’Ordine degli Architetti PPC di Verona, che partecipa al ciclo di riflessioni sullo scenario del prossimo futuro avviato dal’OAR, per raccogliere idee e spunti per il post emergenza epidemiologica da Covid19.

Complicato immaginare come cambierà la professione dopo il Coronavirus, osserva Margotto: «Troppo semplice pensare che tutto debba semplicemente andare nella direzione del lavoro a distanza. Gli architetti, infatti, devono stare anche in cantiere. Il Covid19 è un fatto eccezionale, così come lo sono state le pesti del passato, di cui rimangono testimonianze architettoniche, come i lazzaretti. Ma quanto quei periodi di pestilenza abbiano influenzato il mestiere dell’architetto, è difficile a dirsi».

La situazione attuale, continua il presidente degli architetti di Verona, «aggiunge nuove istanze a quelle già codificate da tempo». La clausura forzata, ad esempio, «suggerisce spazi residenziali che consentano anche di svolgere le attività lavorative: una soluzione spaziale ‘temporanea’ che potrà assumere carattere di permanenza se riconosciuta funzionale alla soluzione di problemi di più ampia portata. Come, ad esempio: la razionalizzazione della mobilità, la delocalizzazione delle attività lavorative nel settore direzionale, il contenimento della crescita smisurata delle megalopoli». In sintesi, «il mestiere cambierà proporzionalmente alla capacità di fornire una risposta sinergica», commisurata a nuove e vecchie istanze.

Quale potrà essere, dunque, il ruolo per gli architetti? «Un ruolo propositivo – afferma Margotto -, centrale rispetto alla necessità di sintesi imposta dal lavoro di squadra – imprescindibile per fare architettura oggi, come nei migliori esempi del passato – che le diverse figure specialistiche fanno confluire nel processo progettuale e realizzativo».

Il sistema ordinistico deve essere in grado di definire linee di azione prioritarie. In cima alla lista, secondo il presidente dell’ordine di Verona, c’è la semplificazione normativa. «Va premesso – spiega – che lavoriamo in un quadro normativo che si connota per la sua endemica schizofrenia, appesantita da una burocrazia perlopiù inconsapevole e indifferente agli esiti del progetto». L’obiettivo dovrà essere quello di liberare «tutte quelle energie che nel processo della produzione architettonica non sono destinate a garantire qualità. Dobbiamo farci promotori di proposte di razionalizzazione e semplificazione delle norme. Sburocratizzare è possibile, demandando responsabilità al professionista, a condizione – però – che esso disponga di una ragionevole certezza della norma».

(FN)

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