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Sostenibilità
20 Marzo 2023

Tutela dell’ambiente in Costituzione: quali nuove responsabilità per gli architetti

Il principio costituzionale della sostenibilità come fattore di solidarietà intergenerazionale non può non impegnare anche gli architetti che con il loro operato plasmano la realtà. Ma, forse, per centrare appieno la missione a cui la Carta sottopone gli architetti, sono necessari anche nuovi strumenti e una ampia presa di coscienza, anche da parte della pubblica amministrazione

La Costituzione italiana impegna tutti i cittadini, architetti compresi, a concorrere al progresso materiale e spirituale della società. E, con le modifiche alla Carta intervenute poco più di un anno fa, l’impegno si allarga alla sostenibilità, da perseguire anche nell’interesse delle future generazioni. Un impegno di non poco conto che, inevitabilmente, non riguarda solo i giuristi, ma anche chi, come l’architetto, è destinato ad incidere sulla realtà plasmando i luoghi del vivere. Dunque, i nuovi diritti e doveri, inseriti nella Carta con la scorsa legislatura, impegnano anche quelle professioni che si svolgono in un assetto regolato, esercitando una funzione sociale.

Sono queste – in estrema sintesi – le tematiche al centro del dibattito apertosi alla Casa dell’Architettura, sede dell’Ordine degli Architetti di Roma e provincia con il convegno “La Costituzione italiana”, organizzato e curato da Christian Rocchi, delegato alle politiche nazionali dell’OAR, e da Francesco Clementi, professore di Diritto pubblico comparato all’Università La Sapienza di Roma, svoltosi, non a caso, nel giorno (17 marzo) in cui si celebra la giornata dell’Unità nazionale. Punto di partenza, le recenti modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione (richiamati, insieme all’articolo 4, dal Codice deontologico degli architetti). Modifiche che inseriscono la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi tra i princìpi fondamentali della nostra Costituzione.

A salutare i relatori e gli architetti presenti nella gremita sala della Casa dell’Architettura e gli oltre 700 collegatisi da remoto, è Alessandro Panci, presidente dell’Ordine degli Architetti di Roma, preceduto dall’esecuzione dell’inno nazionale da parte della soprana Cinzia D’Astola Perroni. «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni», ricorda il presidente citando l’articolo 9 della Costituzione. «Noi architetti, proprio in queste parole, troviamo il mandato della nostra attività e questo è bene ricordarlo perché purtroppo spesso si confonde l’attività professionale economica con gli aspetti di carattere sociale».

«Le professioni ordinamentate – ricorda Christian Rocchi, delegato alle politiche nazionali dell’OAR – sono quelle professioni di particolare interesse pubblico che molto hanno a che fare, per un motivo o per un altro, con l’interesse comune ed è proprio per questo motivo che tali professioni, oltre a rispondere delle leggi vigenti, rispondono anche ad codice d’onore, un Codice deontologico che mira a far sì che la competizione tra professionisti sia improntata assolutamente sulle competenze e nient’altro». Codice, che nel suo incipit richiama espressamente gli articoli 4, 9 e 41 della Costituzione.

Il bene comune e la sostenibilità come stella polare per gli architetti

Dunque, il bene comune, il progresso materiale e spirituale del Paese, come stella polare per chi esercita la professione di architetto. «Negli ultimi decenni – prosegue Rocchi – è stato molto difficile cogliere gli obiettivi sociali e questi concetti, a cui si è sempre ispirato il nostro operato professionale, hanno incominciato a cortocircuitare con i nuovi strumenti ed il nuovo modo di concepire le professioni e quindi gli Ordini professionali: una visione completamente diversa, non più come garanzia sociale, ma come ostacolo al libero mercato. È difficile smettere di essere architetti da un momento all’altro. Non è stato possibile, il nostro Codice etico non ce lo ha permesso».

«Le amministrazioni pubbliche – prosegue Rocchi – hanno dovuto lasciar fare al libero mercato che aveva, secondo molti economisti, il potere di autoregolarsi ed insieme conseguire un miglioramento comune. Questa scommessa è evidentemente persa, oggi il nostro mondo, la nostra barca è diventata molto piccola, siamo nel pieno dei cambiamenti climatici». «Il bene pubblico deve tornare alla base di ogni nostra attività, ogni nostra azione deve essere indirizzata al progresso materiale e spirituale del Paese. Oggi questa logica, la logica della nostra Carta costituzionale, non è più un’opzione, ma una necessità impellente che deve ritornare a ridisegnare il nostro mondo come un unico organismo che miri al progresso comune, ma serve ridisegnare il funzionamento del sistema Paese e i suoi ingranaggi devono essere ripensati», conclude Rocchi.

Perché la tutela dell’ambiente entra nella Costituzione e quali le conseguenze

A inquadrare la riforma degli articoli 9 e 41 nell’ambito dell’evoluzione della nostra Costituzione è Daria de Pretis, vicepresidente della Corte Costituzionale. La Costituzione quando fu licenziata nel 1948 non conteneva la parola ambiente. «La nostra – spiega de Pretis – fa parte di quel gruppo di Costituzioni di prima generazione per cui il valore di ciò che oggi chiamiamo ambiente si incarnava in elementi profondamente diversi da quelli che noi intendiamo oggi con questa parola. In quel momento si aveva un’idea dell’ambiente nei termini di paesaggio, paesaggio protetto dall’articolo 9 della Costituzione insieme al patrimonio storico-artistico del nostro Paese. E, la prima giurisprudenza applicativa dell’articolo 9 si rifaceva a quel concetto di paesaggio come bellezza naturale che si caratterizzava soprattutto per il suo valore a servizio del godimento estetico della persona».

«È negli anni 70 – prosegue – che inizia a svilupparsi un’idea di ambiente che non reca solo un valore estetico, si acquista la consapevolezza del carattere non illimitato delle risorse. Arriva anche dal mondo sovranazionale lo stimolo ad occuparsi di questi temi, ci sono le prime dichiarazione internazionali di protezione dell’ambiente, lo stesso trattato dell’Unione europea si occupa del tema della sostenibilità e anche la Corte costituzionale inizia ad affrontare il tema della protezione dell’ambiente agganciandolo a un’altra norma costituzionale, l’articolo 2 che si occupa della tutela della salute». La parola ambiente entra per la prima volta nella Costituzione nel 2001, con la riforma del Titolo V, quando, con l’articolo 117 si menziona l’ambiente tra le materie su cui lo Stato ha competenza legislativa esclusiva. E poi si arriva alla riforma del 2022, che nasce dall’acuirsi della sensibilità sui temi della sostenibilità in Europa e non solo.

«La legge costituzionale n. 1 del 2022, la legge di riforma dell’articolo 9 e 41 della Costituzione, a questo punto – spiega ancora la vicepresidente della Corte Costituzionale – fa entrare la tutela dell’ambiente dalla porta principale, tra i princìpi fondamentali della Costituzione. Viene aggiunta questa previsione, che forse è la novità più importante della riforma: la tutela delle future generazioni. La tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi è affidata alla Repubblica anche nell’interesse delle future generazioni».

L’impegno verso la sostenibilità e le future generazioni

«L’Italia arriva non prima, per usare un eufemismo. Già oltre 140 ordinamenti hanno inserito la protezione ambientale nei testi delle loro Costituzioni; tra questi 86 hanno riconosciuto esplicitamente il diritto in senso stretto ad un ambiente sano; di questi, 72 ordinamenti hanno combinato questa richiesta a maggior ragione tramite leggi molto penetranti», spiega Francesco Clementi, professore di Diritto pubblico comparato all’Università La Sapienza di Roma. Il professore ricorda che il concetto di sostenibilità era già presente nell’articolo 81 della Costituzione, che però lo affronta da una prospettiva meramente economica. Ora però, con l’ultima riforma, si esce dalla logica puramente economica per abbracciare un’interpretazione di sostenibilità più ampia, e soprattutto «la sostenibilità diventa un fattore di solidarietà intergenerazionale».

«L’interesse verso le giovani generazioni – prosegue Clementi – è una delle prospettive inalienabili di un passaggio giuridico, e innanzitutto politico, una scelta strategica che mira a rendere la sostenibilità, come fattore di solidarietà intergenerazionale, il parametro analitico per i professionisti che operano sotto l’ombrello dell’articolo 41». «Affrontare il tema della sostenibilità ambientale, e non solo ambientale – spiega sempre il professore -, vuol dire affrontare il tema delle giovani generazioni interrogandosi innanzitutto sui doveri e sui diritti, ma innanzitutto sui doveri di chi come noi oggi è vivo, esercita una professione, opera in un ordinamento, incide nella realtà sociale, culturale del Paese e su chi, invece, ancora non è nato, a cui noi dobbiamo dei diritti. Allora il diritto che abbiamo di fronte è il dovere innanzitutto di pensare al futuro, questo è il messaggio nuovo che il Costituente ci dà nel combinato disposto dell’articolo 9 e 41».

L’impegno verso le future generazioni non può, dunque, non impegnare anche gli architetti. «La lettura del paradigma interpretativo della solidarietà intergenerazionale, come elemento per rafforzare il concetto di sostenibilità, portato più avanti che cosa ci dice? Ci dice – prosegue Clementi – alcune cose, la principale è che dobbiamo farci carico dei diritti delle persone future, dei diritti di chi verrà, di quelle che noi oggi come giuristi chiamiamo le “clausole di posterità”. Di queste nuove clausole non possiamo farci carico solo noi giuristi, perché in realtà, non vi sembrerà credo troppo assurdo, molta della realtà passa più da voi che da noi. Molta della realtà passa tra chi, come voi, opera disegnando l’ambiente dove poi i diritti di tutti abitano, immaginando, le strade, i ponti, le case, le infrastrutture pubbliche, quelle private, rispetto alle quali noi tutti troviamo non solo la soddisfazione di poter vivere o di immaginare di goderne fino in fondo, ma anche la proiettività di un ambiente diverso nel quale immaginare di poter far crescere il futuro che verrà».

Quali strumenti per perseguire il bene comune

Ma, forse, la sola volontà e la sensibilità degli architetti non basta, da sola, ad applicare appieno i principi di sostenibilità, di solidarietà intergenerazionale espressi dalla Costituzione, ricordando che la stessa impone che ogni iniziativa economica privata, seppure libera, non possa porsi in contrasto con l’utilità sociale né recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. E, allora, è inevitabile un parallelo con i temi della rigenerazione urbana, della trasformazione in chiave sostenibile dei nostri territori che, forse, avrebbero bisogno di nuovi e più efficaci strumenti per centrare gli alti e imprescindibili obiettivi costituzionali e forse anche di una diversa coalizione tra pubblico e privato, orientata all’equità, all’inclusività e guidata da una visione ambiziosa e a lungo termine che ogni città dovrebbe darsi. E forse strumenti come la legge urbanistica, il testo unico dell’edilizia, il codice degli appalti dovrebbero essere rivisti in una nuova prospettiva, che faciliti i processi di trasformazione in chiave anche sostenibile. E anche un rafforzamento della pubblica amministrazione sarebbe auspicabile.

Di questo si è discusso durante la tavola rotonda. Nessun dubbio per Dario Parrini, vicepresidente della Commissione Affari costituzionali del Senato (relatore dell’art. 9 della Costituzione) e Nazario Pagano, presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera, che la riforma della Costituzione, e dunque l’inserimento del principio della tutela dell’ambiente anche nell’interesse delle future generazioni, fosse necessaria. A spostare il discorso verso il tema della rigenerazione urbana e la capacità delle città di attrarre capitali per avviare, in tempi certi, le trasformazioni di cui c’è bisogno, è Domenico Bilotta, direttore generale di Investire Sgr: «La grande sfida delle città nel cogliere l’introduzione del concetto di ambiente come elemento tutelato dalla carta costituzionale, passa attraverso la rigenerazione urbana».

«L’articolo 41 parla dell’iniziativa economica privata che è libera, ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o recare danno alla salute, all’ambiente alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana», ricorda Francesco Aymonino, vicepresidente dell’OAR. Dunque, l’articolo 41 «coniuga strettamente i fini sociali con quelli ambientali. E questo è il tema vero della rigenerazione urbana. Non possiamo solo parlare di una rigenerazione fisica e ambientale, ma ci sono da cogliere anche gli aspetti sociali», afferma Aymonino, che aggiunge: «Oggi la grande sfida è proprio quella. Oggi la partecipazione dei cittadini e la responsabilizzazione dei cittadini alla vita pubblica di questo Paese sono fondamentali. Bisogna riportare i cittadini a partecipare alla vita pubblica e alle iniziative per costruire il futuro del Paese».

E, forse, a indicare la via nella giornata dell’Unità nazionale è proprio il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che dichiara: i valori costituzionali, «ispirando la nostra società, garantiscono le risorse morali necessarie a fronteggiare le sfide complesse che la contemporaneità ci mette innanzi». Come dire: se seguiamo, anche nella professione, i principi costituzionali, di certo non sbagliamo.

di Mariagrazia Barletta

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