POLITICA DELL'ORDINE

Azioni del Consiglio
13 Ottobre 2020

Un mattone per la resilienza. La scelta di non rimandare Spam, stando dalla parte dei professionisti

“Un evento fortemente voluto perché crediamo che, in un momento critico come questo, non si debba lasciare nessuno da solo, ma far sentire con più forza la presenza dell’Ordine – spiega Christian Rocchi, vice presidente dell’Ordine degli Architetti di Roma – Il Covid ha evidenziato ciò che diciamo da quando questo Consiglio si è insediato, ovvero che l’economia liberista ha profondamente cambiato la nostra professione, facendo emergere uno scollamento tra il settore economico e il ruolo sociale che siamo chiamati a svolgere”.

Su queste basi fragili, la pandemia si è avventata come una tempesta improvvisa, mortificando alcuni settori economici tradizionali (a paritre dal turismo, con ricadute sull’hotellerie e sugli spazi del food&beverage) e scombinando persino il concetto di abitare in nome di uno smartworking che ti permette di lavorare in ogni luogo e in ogni tempo, dove lo spazio abitativo si dilata.

“Su questa situazione liquida – continua Rocchi – abbiamo aggiunto anche del nostro: il DL semplificazione (link), per esempio. Molto abbiamo detto sull’art. 10, anche con comunicati congiunti con altri Ordini di Città Metropolitane, facendo capire che le ultime quattro righe rendono il sistema più rigido, quando invece si ha bisogno di una struttura più che elastica. A partire dalla scorsa primavera, molte società di gestione del risparmio ad esempio avevano catalizzato gli interessi dei fondi di investimento su Roma, considerando che Milano si va via via saturando. Ma l’articolo 10 ha fatto sì che si sia velocemente spento l’interesse. Non solo, un piano di recupero ha un orizzonte troppo ampio per essere appetibile: si parla di 10 anni. C’è bisogno di nuovo equilibrio su cui basare una nuova economia”.

Ed allora quale futuro per gli architetti di oggi? Chi sono davvero? “Gli architetti sono stati sempre strumento di un disegno molto ampio – precisa Rocchi – gli architetti non sono solo garanzia sociale, caratteristica che ci siamo battuti per far riconoscere, ma anche mezzo di progresso”.

Christian Rocchi cita qualche riferimento tratto dalla letteratura, fino ad arrivare alle sfide che oggi si è chiamati a compiere. Prende in prestito le parole di Alessandro Davenia, allievo di Padre Pino Puglisi che sul Corriere della Sera scrive: “L’Eneide e i Promessi Sposi sono tra i libri più odiati dagli italiani perché si interrogano sul mistero della storia: chi la guida? Il caso? La provvidenza? Il fato? C’è o ci sarà una giustizia? Qualunque sia la risposta, le due opere grondano di conseguenze: le lacrime degli uomini. Due opere, così lontane nel tempo, non solo ci narrano che la ricerca di un destino è inscindibile dalla perdita di qualcosa, ma anche che proprio in quel destino si trova il coraggio per «r-esistere». Dove trovare oggi le forze che Virgilio e Manzoni traevano dalla fiducia in una storia guidata per l’uno dal Fato e per l’altro dalla Provvidenza? Possiamo noi, senza uno sguardo trascendente, resistere al male, alla fatica, al dolore? Bastano le nostre forze? Chi non ha una ragione per esistere, può trovarne una per resistere?”

Interrogativi insiti nella coscienza umana, al di là dell’accavallarsi dei secoli e del sovrapporsi degli eventi. Continua Davenia: “Nel secondo verso dell’Eneide il nostro eroe viene definito «profugo a causa del fato». Fato deriva da una radice verbale che indicava un dire autorevole, proprio del divino, che ha quindi effetti sulla realtà: il destino. La stessa radice si ritrova in favola, lo spazio in cui si narra l’incontro dell’uomo con il suo destino: sin da bambini amiamo le storie perché ci ricordano che vivere è andare incontro al proprio. Viverlo nelle ipotesi narrative ci prepara, ci allena, smorza la paura, ci consola e ci ricorda che la vita è la somma di un «dato di fatto» che non scegliamo e «un dato da compiere» che dipende dalle nostre scelte. Da quella stessa radice viene anche la parola fama, un dire che sembra autorevole, ma lo è per mera quantità di voci. Ci travolge per accumulo, ci convince di un obiettivo che non è autentico né nostro, ma è imposto dal potere, dalla propaganda, da quello che tutti dicono o fanno”. Oggi come ieri la mancata verità destabilizza l’uomo nel suo cammino.

“Per questo spesso entriamo in crisi – commenta D’Avenia – perché inseguiamo, senza rendercene conto, i «miraggi della fama»: i canoni di bellezza che torturano i corpi, l’ossessione del successo, del consenso e dei risultati che torturano le anime, la velocità e il consumo come stile di vita… Miraggi di destino che tracciano vie sulle quali alla lunga non riusciamo a «resistere», per il semplice fatto che non ci fanno «esistere». L’unico destino in cui possiamo resistere è quello che ci fa esistere, si chiama vocazione e lo si riconosce perché ci dà più vita e consistenza, come accade a Enea, Renzo e Lucia. Per questo Andrea Marcolongo nel suo splendido libro sul poema virgiliano scrive: «Solo una cosa significa essere Enea. Alla distruzione rispondere: ricostruzione. Questa è la sua lezione… L’Eneide racconta come, da tutto questo spargimento di vivere, non ci si può tirare fuori. Bisogna resistere invece, e ancora. Fino alla fine» (La lezione di Enea). Dove finisce la ricerca dei personaggi inizia quella del lettore: due storie da leggere ai quindicenni di oggi perché scoprano anzitempo che possono resistere solo se imparano a esistere. Ma per esistere ci vuole una ragione e la ragione è sempre l’amore. Enea resiste per amore della famiglia, della città e degli dei. Renzo e Lucia per amore l’uno dell’altra e di Dio. E noi?”

E noi? Figli di un’era afflitta da disastri naturali (di cui ci sentiamo vittime e colpevoli), da una pandemia che ha intristito le nostre esistenze e da una quotidianità sempre più NEEDS e meno DREAMS?

“Una civiltà si giudica dai suoi amori: la nostra quali ci propone? – si chiede lo scrittore – Bastano a darci vita: seduzione, successo, potere, accumulo? O sono solo miraggi di destini, resi allettanti dalla fama? Noi esistiamo nella misura in cui siamo amati e amiamo, questa è l’unica via capace di darci il coraggio necessario per vivere e affrontare quelle che Virgilio chiama «le lacrime delle cose» e Manzoni «guai»: tutto il resto se non è tempo perso, è tempo che si perderà. In momenti burrascosi come quelli che viviamo abbiamo bisogno dei classici, e non per una devozione da museo, ma perché classici sono i libri che sopravvivono alla prova del tempo, essendo riusciti a proteggere il destino dell’uomo dai suoi miraggi. Un classico, parola latina derivante probabilmente da un verbo che significava chiamare, è un appello a non perdere ciò che è umano nell’uomo, ciò che in lui permane: per chi e cosa val la pena vivere?”.

“E noi oggi vogliamo essere Enea – conclude Christian Rocchi – si decida una volta per tutte cosa si vuole fare oggi. Oggi e non domani. Oggi è il futuro. «Un mattone per la r-esistenza» era il titolo dell’articolo di D’Avenia. Io lo chiamerei «un mattone per la resilienza»

(GV)

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